Staminali tumorali: il tallone di Achille del tumore al seno
unto di forza: le sue cellule staminali, capaci di rinnovarsi, di riprodursi illimitatamente, di dare origine a diverse cellule figlie e, in genere, di resistere alle terapie. Si tratta di cellule che si possono paragonare alle api regine: come l’ape regina dà origine a tutte le altre api dell’alveare, così le cellule staminali tumorali danno origine a tutte le altre cellule del tumore.
Ma questo punto di forza potrebbe trasformarsi nel tallone di Achille e diventare il bersaglio di terapie mirate che distruggono il tumore mammario una volta per tutte.
Il gruppo di 70 persone guidato da Pier Paolo Di Fiore, dell’Istituto europeo di oncologia (IEO) di Milano, lavora per raggiungere questo obiettivo studiando a fondo le caratteristiche molecolari delle cellule staminali del tumore del seno, dopo aver messo a punto un metodo efficace per poterle riconoscere e isolare, anche se presenti in numero molto basso nella massa tumorale.
Il programma di ricerca si articola in diverse parti tutte collegate tra di loro e punta soprattutto sulla stretta collaborazione tra diverse figure professionali – medici, ricercatori, bioinformatici – per arrivare ai risultati finali diretti alle pazienti. Tra questi, anche l’identificazione di nuovi marcatori basati sulle cellule staminali per poter stabilire la risposta alla terapia o l’aggressività del tumore e lo sviluppo di nuovi farmaci che puntino a distruggere in modo mirato le cellule staminali del cancro.
La firma molecolare del tumore del seno
Uno dei risultati più importanti ottenuti nell’ambito del programma è senza dubbio l’identificazione di una “firma molecolare” delle cellule staminali del tumore mammario, un insieme di geni che permette di classificare sperimentalmente queste neoplasie in modo nuovo. Tutto parte dall’osservazione che non tutti i tumori hanno al loro interno la stessa quantità di cellule staminali tumorali. Quelli che ne hanno di più mostrano in genere un comportamento più aggressivo, che si traduce in una peggiore prognosi per il paziente. La differenza nel numero delle cellule staminali tumorali si riflette, a livello del patrimonio genetico, in differenze nell’espressione di alcuni geni. Proprio misurando tali diversità è stato possibile mettere a punto un elenco di 13 geni che potranno aiutare a ottimizzare l’uso delle terapie. Le firme molecolari non sono una novità per il tumore del seno, ma per la prima volta lo sguardo è stato rivolto alle cellule staminali tumorali e non alle più classiche cellule del resto del tumore.
Ed ecco come si usa la nuova “firma”: dopo aver analizzato l’espressione dei 13 geni all’interno di un tumore, si utilizza un algoritmo costruito appositamente che proprio in base ai dati di espressione calcola un numero, l’indice di rischio. E sulla base di questo indice il medico potrà scegliere di trattare un tumore con la terapia più adatta: se l’indice è alto la terapia sarà più aggressiva, se è basso si potrà magari fare a meno del trattamento oppure optare per una terapia più leggera.
Nuovi bersagli dalle cellule staminali
Come funzionano le cellule staminali tumorali? Quali meccanismi biologici determinano la loro capacità di sostenere senza sosta il tumore? Il gene Numb rappresenta una risposta, parziale ma molto importante, ad alcune delle domande sulla biologia delle staminali del cancro. Questo gene è stato identificato nel corso del programma come un nuovo oncosoppressore, ovvero un gene cha normalmente ha la funzione di tenere a bada il tumore. E, in effetti, quando Numb non c’è o non funziona come dovrebbe il tumore cresce più rapidamente e risulta più aggressivo.
Date queste premesse, non è strano che l’interesse dei ricercatori coinvolti nel programma si sia focalizzata proprio su Numb per capirne meglio i meccanismi d’azione, le interazioni con altri geni e per poterlo utilizzare magari come bersaglio per nuove terapie mirate. Il lavoro ha già dato i primi frutti dal momento che è stato possibile ricostruire nel dettaglio i modelli delle interazioni tra Numb e altri geni, incluso il famoso oncosoppressore p53, il guardiano del genoma, che viene degradato in assenza di Numb. Tutte le conoscenze relative a questo nuovo bersaglio sono preziose per i ricercatori che stanno ora mettendo in pratica il cosiddetto “progetto razionale di un farmaco”: basandosi sulle specificità della proteina che deriva dal gene Numb progettano un farmaco che riesca a sostituirsi ad essa nei tumori che ne sono privi, ripristinando il segnale di blocco per il tumore.
I segnali per la diagnosi precoce circolano nel sangue
La creazione di nuovi strumenti per la diagnosi precoce resta una delle priorità della ricerca oncologica e lo studio di nuovi biomarcatori tumorali circolanti nel sangue rappresenta una strada promettente. Anche su questo fronte i ricercatori sono impegnati a identificare segnali precoci della presenza del tumore rappresentati da microRNA, piccoli frammenti di materiale genetico, che si trovano nel sangue. Le ricerche sul tumore del polmone hanno finora dato i risultati migliori, ma sono in fase piuttosto avanzata anche quelle sul tumore del seno e su quello dell’ovaio. L’idea è di scoprire un gruppo di microRNA circolanti nel sangue sin dalle fasi più precoci della malattia per arrivare a una diagnosi sempre più tempestiva e aumentare così le potenzialità di cura. Nel polmone e nell’ovaio questo elenco è stato identificato e si sta lavorando anche su quello del seno.
È importante ricordare che per alcuni tumori – come per esempio quello dell’ovaio – non esistono a oggi strumenti di screening efficaci e la diagnosi arriva solo quando la malattia è già in fase avanzata. Il profilo di microRNA identificato nel programma potrebbe quindi rappresentare uno strumento di grande importanza diagnostica, ma la sua precisione e capacità di “vedere” il tumore deve essere valutata in casistiche ampie, prima di entrare in clinica. Grazie a una collaborazione recentemente stabilita con ricercatori inglesi, queste verifiche potranno presto prendere il via.
Si lavora anche sulle infrastrutture
Uno dei “successi collaterali” del programma coordinato da Pier Paolo Di Fiore è senza dubbio la creazione di una complessa struttura integrata di medicina molecolare che non solo ha dato un grande contributo ai risultati ottenuti sul tumore del seno, ma contribuirà in futuro anche allo sviluppo di nuovi e innovativi progetti. In primo luogo, è stata costruita una banca di tessuti prelevati da pazienti con diversi tipi di tumore (soprattutto seno, ma anche polmone, vescica e prostata). Non si tratta della solita raccolta di campioni conservata come in un archivio o in una libreria e consultabile al bisogno: da ciascuno dei tessuti prelevati sono anche state estratte e messe in coltura alcune cellule che possono essere utilizzate per numerose ricerche future.
Nella struttura di medicina molecolare è inclusa anche un’importante piattaforma dedicata agli xenotrapianti, ovvero ai modelli animali nei quali sono stati impiantati tumori umani. Sono ormai centinaia i modelli disponibili nella piattaforma, alcuni dei quali fondamentali e unici al mondo.
Infine, ma non certo meno importante, c’è la piattaforma di analisi high-throughput ovvero di quelle tecnologie che permettono di analizzare contemporaneamente migliaia di elementi (geni, microRNA, RNA messaggeri eccetera) all’interno di un unico esperimento.
Mi consente? Il paziente ben informato dice sì alla ricerca
Durante un intervento chirurgico vengono in genere prelevati campioni di tessuto per successive analisi che permettono, per esempio, di scegliere la terapia più efficace. Questi campioni rappresentano un tesoro di inestimabile valore per medici, ricercatori e pazienti, ma in alcuni casi questo tesoro rischia di non poter essere utilizzato. La legge prevede infatti che il paziente dia il proprio consenso all’utilizzo del campione raccolto e tale consenso viene definito “informato” perché, per ottenerlo, è necessario specificare per quale scopo il campione verrà utilizzato. Il problema è che in molti casi non è possibile sapere al momento dell’intervento per quali scopi serviranno i campioni: la ricerca è un processo in continua evoluzione e trasformazione che rende praticamente impossibile prevedere con esattezza le traiettorie future. Ecco allora che i ricercatori hanno messo a punto, assieme a esperti di bioetica, un “patto fiduciario” che può essere stipulato tra il paziente, il medico e l’istituto di ricerca. In pratica, al paziente viene spiegato in dettaglio lo spirito che anima la ricerca oncologica e, in particolare, le regole e i principi etici seguiti dai medici e dai ricercatori dello specifico istituto. Inoltre vengono forniti dettagli sull’eventuale utilizzo da parte di altri laboratori o sulle regole della privacy. Il tutto in un colloquio che dura almeno un’ora ma che ha permesso di aumentare i tassi di consenso fino al 98%.