Epigenetica e immunoterapia unite nella sfida alle metastasi
Il tumore è in genere dovuto a un’alterazione nei geni, ma non sempre si tratta di geni mutati nella loro struttura profonda, ovvero nella sequenza del DNA. In alcuni casi i cambiamenti sono più superficiali: l’aggiunta o la rimozione di una molecola che si lega al DNA e ne modifica l’espressione può contribuire allo sviluppo di un tumore. Si tratta di modificazioni epigenetiche, che negli anni hanno acquistato un ruolo sempre più importante nella comprensione dei meccanismi della trasformazione neoplastica e della progressione tumorale. Proprio sull’epigenetica si concentra l’attenzione dei ricercatori guidati da Michele Maio, dell’Azienda ospedaliera universitaria senese, che nel loro programma speciale AIRC “5 per mille” si propongono di valutare come queste modifiche influenzino diversi aspetti del tumore e del microambiente che lo circonda, a partire dalla risposta all’immunoterapia. “L’idea generale, che porteremo avanti grazie al sostegno di AIRC, è studiare le modificazioni epigenetiche e identificare quelle tipiche delle diverse fasi della progressione della malattia, fino ad arrivare alla fase di diffusione attraverso le metastasi” spiega Maio, che poi aggiunge: “Questo potrà aiutarci a capire meglio perché in alcuni casi si crea un ambiente ostile all’immunoterapia, la strategia terapeutica che stimola il nostro sistema immunitario contro il cancro.” Se il primo approccio al progetto coinvolgerà casi di melanoma, sui quali gli autori lavorano già da diverso tempo e la ricerca è lievemente più avanzata, con alcuni studi iniziali anche in clinica, nelle fasi successive saranno valutati in dettaglio anche casi di mesotelioma e glioblastoma.
Gli obiettivi
A volte le modifiche epigenetiche possono fornire al tumore una via di fuga, rendendolo invisibile al sistema immunitario e riducendo quindi l’efficacia dell’immunoterapia. In questo processo numerose molecole presenti nel microambiente che circonda il tumore hanno un ruolo di rilievo. Uno degli obiettivi principali del progetto coordinato da Michele Maio è la caratterizzazione dei meccanismi epigenetici che regolano la relazione tra tumore, microambiente e cellule del sistema immunitario. “Anche da questa relazione dipende la capacità della malattia di progredire, dare metastasi ed eventualmente di diventare resistente all’immunoterapia, in particolare ai cosiddetti inibitori dei checkpoint” precisa Maio. Gli altri obiettivi della ricerca sono una conseguenza diretta del primo: si tratta di comprendere in dettaglio il ruolo delle diverse alterazioni osservate nel tumore a livello epigenetico e coinvolte nella resistenza all’immunoterapia, e di sviluppare innovative strategie di cura che coinvolgano sia farmaci epigenetici sia inibitori dei checkpoint.
Il percorso
- Analisi integrate. Il progetto prevede una prima parte basata su analisi approfondite dei campioni di melanoma, ma anche mesotelioma e glioblastoma, sviluppate a diversi livelli e che coinvolgono l’epigenoma (l’insieme delle caratteristiche epigenetiche del DNA), il trascrittoma (l’insieme dei geni che vengono espressi sotto forma di RNA messaggero) e le mutazioni del DNA.
- Nuove correlazioni e nuovi bersagli. I ricercatori guidati da Maio metteranno quindi in relazione le informazioni ottenute con la progressione della malattia (inclusa la diffusione sotto forma di metastasi), il contesto immunitario nel quale il tumore si muove e prolifera, e la resistenza alle immunoterapie. Cercheranno inoltre di identificare nuovi processi o molecole capaci di favorire la formazione delle metastasi e la resistenza all’immunoterapia, e che possono diventare bersagli di farmaci specifici.
- Rimodulare il dialogo. Una delle fasi del programma AIRC 5×1000 di Maio e colleghi prevede lo sviluppo di cellule e animali di laboratorio, da usare per verificare se i bersagli epigenetici e immunitari identificati possano davvero modificare il dialogo tra il tumore e l’ambiente che lo circonda e produrre una risposta immunitaria più efficace contro la malattia. “Il dialogo è continuo e si modifica nel tempo anche in base alle diverse fasi del tumore” spiega Maio, ricordando il grande vantaggio di poter partire per le analisi da campioni tumorali prelevati appunto in diversi momenti della malattia.
- Dal laboratorio al paziente. Le informazioni emerse dal progetto costituiranno la base scientifica per ideare studi clinici altamente innovativi e valutare l’efficacia di terapie combinate di farmaci epigenetici e di immunoterapie in pazienti con melanoma, mesotelioma e glioblastoma metastatici o localmente avanzati. Si valuteranno anche farmaci che modificano il microambiente, per capire se questo approccio possa migliorare l’efficacia dell’immunoterapia.
- L’unione fa la forza. Un progetto vasto e complesso come quello pensato dai ricercatori guidati da Michele Maio richiede un grande sforzo non solo economico, ma anche in termini di tecnologia e competenze. “Grazie ad AIRC siamo riusciti a creare una cordata di eccellenti ricercatori con competenze diverse e complementari, in grado di lavorare verso l’obiettivo comune, portando un grande contributo alla ricerca” spiega il coordinatore.
Perché è importante
L’immunoterapia rappresenta oggi uno strumento importante nella lotta contro i tumori, ma nonostante i grandi successi già ottenuti, restano ancora molte domande aperte sul trattamento. Una di queste riguarda il fatto che non tutti i tumori rispondono bene a farmaci immunoterapici, mentre alcuni smettono di rispondere con il passare del tempo, e le ragioni di questo comportamento non sono ancora note. Grazie al progetto sostenuto da AIRC si potranno comprendere meglio alcuni meccanismi che portano alla resistenza alla terapia e allo sviluppo di metastasi. Inoltre si potranno sviluppare trattamenti mirati a migliorare la risposta all’immunoterapia. Un beneficio pratico importante per i pazienti con malattia in fase avanzata, in cui si potrà gestire meglio e in modo personalizzato la terapia anti-tumorale.
A che punto siamo
Aprile 2021. Un primo importante risultato del lavoro dei ricercatori coordinati da Maio è stata l’identificazione del migliore farmaco epigenetico da utilizzare negli studi clinici futuri per raggiungere gli obiettivi del programma. “Abbiamo cercato il farmaco più efficace nell’indurre quelle modificazioni del microambiente tumorale, del tumore stesso, delle cellule del sistema immunitario che noi volevamo utilizzare negli studi di immunoterapia” spiega Maio. Dopo una prima selezione dei migliori farmaci candidati in cellule in coltura, i ricercatori sono passati alla verifica in animali di laboratorio: una conferma necessaria prima di passare agli studi clinici negli esseri umani. “Sappiamo ora quali sono i migliori farmaci che in animali di laboratorio rendono il tumore ‘caldo’, quindi permettono al tumore di essere infiltrato efficacemente dal sistema immunitario” afferma Maio.
Proprio da queste prime osservazioni ha preso il via lo studio clinico NIBIT-ML1, che coinvolge pazienti con melanoma per i quali la precedente immunoterapia con gli inibitori del checkpoint anti-PD-1 o anti-PD-L1 non era stata efficace. Si tratta sia di pazienti che mostrano una resistenza primaria, ovvero che non rispondono affatto al trattamento, sia di pazienti con resistenza secondaria, in cui cioè l’immunoterapia ha funzionato solo in un primo momento, per poi non avere più effetto. I pazienti con tumori resistenti verranno divisi in due gruppi e saranno trattati con una combinazione di due inibitori dei checkpoint (anti-PD1 + anti-CTLA4) oppure con la combinazione in aggiunta al farmaco epigenetico. “Oltre a cercare di capire se possiamo superare la resistenza con la combinazione di due inibitori dei checkpoint, vogliamo anche vedere se con le modificazioni epigenetiche indotte dall’altro farmaco riusciamo a ottenere ulteriori miglioramenti” dice Maio.
Per analizzare al meglio l’enorme mole di dati che emergeranno dallo studio clinico, si è aggregata al gruppo originale di ricercatori un’unità operativa di bioinformatica, spiega il coordinatore, ricordando la flessibilità alla base dei programmi 5 per 1000 che ha permesso questo inserimento.
Ma lo studio non si ferma al melanoma: l’idea è di partire dalle scoperte più salienti ottenute nel melanoma e che sembrano essere interessanti dal punto di vista della modificazione e della immunomodulazione epigenetica per valutarle anche in glioblastoma e mesotelioma, in vitro e in vivo.
Maio e collaboratori non sono certo nuovi agli studi sul mesotelioma, patologia sulla quale lavorano da oltre un decennio, come dimostrano anche i risultati di uno studio, recentemente pubblicati. Nel lavoro era già stata dimostrata la maggiore efficacia della combinazione anti-PD-1 + anti-CTLA4 in pazienti con mesotelioma pleurico (studiata per la prima volta proprio in questo contesto) rispetto ai farmaci usati singolarmente. Nell’ambito dell’attuale consorzio, i ricercatori hanno dimostrato che il 50 per cento circa dei pazienti, diventati resistenti alla combinazione, risponde se viene sottoposta nuovamente al trattamento con gli stessi farmaci (una strategia chiamata “rechallenge”). Inoltre, i pazienti con un numero più elevato di mutazioni (quello che i tecnici chiamano tumour molecular burden, TMB) ottengono risultati migliori sia in termini di risposta che di sopravvivenza.
Un lavoro di squadra
Per poter generare in modo tempestivo risultati scientifici importanti, che possano essere trasferiti altrettanto rapidamente all’applicazione clinica, il progetto di ricerca sostenuto da AIRC necessitava di mettere insieme una grande squadra di ricercatori, tra i migliori in Italia e di assoluto livello internazionale, che potessero fornire tutte le differenti competenze indispensabili ad affrontare le ricerche proposte da diverse angolazioni, ma comunque in strettissima integrazione.
A tal fine sono stati identificati dal coordinatore del programma – quello che in inglese viene definito Principal Investigator (PI) – cinque Group Leader che, grazie al contributo del loro gruppo di ricerca e di ulteriori unità da loro identificate come utili alla progettualità complessiva, potessero apportare competenze di altissimo livello nei differenti settori su cui le ricerche proposte sono articolate.
In particolare Andrea Anichini (Unità di immunobiologia dei tumori umani, Fondazione I.R.C.C.S. Istituto nazionale dei tumori di Milano), co-PI del programma, porta la sua esperienza nell’ambito dell’immunobiologia e immunoterapia dei tumori umani, mentre Michele Ceccarelli (cattedra di sistemi di elaborazione delle informazioni presso l’Università degli Studi di Napoli “Federico II” e laboratorio di bioinformatica di Biogem), bioinformatico, contribuisce all’analisi integrata dell’enorme mole di dati generata in laboratorio e in clinica dal consorzio.
Daniela Massi (cattedra di anatomia patologica, Università degli Studi di Firenze) contribuisce con la sua esperienza di anatomopatologa a tutte le fasi del progetto che prevedono l’analisi multi-parametrica di tessuti tumorali necessari alla ricerca proposta; Giuseppe Palmieri (cattedra di oncologia medica e molecolare, Università degli Studi di Sassari e IRGB-CNR di Sassari), porta all’interno del programma la sua esperienza nella genetica dei tumori umani; e Ulrich Pfeffer (Unità di epigenetica dei tumori, IRCCS Ospedale policlinico San Martino di Genova) offre la sua competenza di biologo cellulare e molecolare in modelli tumorali umani e murini.
Il lavoro continuo di questa squadra, che prevede anche riunioni bimensili di tutti i ricercatori che ne fanno parte per la condivisione dei rispettivi risultati ottenuti, e che complessivamente coinvolge molte decine di ricercatori di laboratorio e clinici, ha già iniziato a generare dati importanti. Tali risultati sono in parte in corso di trasferimento in clinica, in pazienti oncologici affetti da melanoma cutaneo e da mesotelioma pleurico. Sperabilmente il trasferimento verso la clinica avverrà a breve anche per pazienti affetti da glioblastoma multiforme, così come previsto dal programma.
Il programma di ricerca è certamente un’importante opportunità di collaborazione e di ulteriore crescita professionale per tutta la squadra che ne è parte, ma indubbiamente costituisce anche un momento di arricchimento emotivo personale per quanti vi sono convolti e che hanno il “fuoco sacro” della passione per la ricerca, avendone fatto una scelta di vita per identificare nuove e più efficaci cure per i pazienti oncologici.