L’evoluzione delle neoplasie mieloproliferative come modello più generale di metastasi
Il programma speciale “5 per mille” chiamato Mynerva e coordinato da Alessandro Maria Vannucchi, dell’Università degli Studi di Firenze, punta lo sguardo sui tumori mieloidi, in particolare i tumori mieloproliferativi cronici, le sindromi mielodisplastiche e alcuni tipi di leucemie acute. “Si tratta di neoplasie ematologiche rare se prese singolarmente, ma che nel loro insieme rappresentano una buona quota di tutti i tumori del midollo osseo e delle cellule staminali” spiega il ricercatore, che da anni si occupa dello studio di queste patologie, anche grazie al sostegno di AIRC. Come ricorda il coordinatore del programma, i tumori mieloidi derivano dalle cellule staminali e si presentano in genere in forme indolenti, che però in alcuni casi possono andare incontro a un peggioramento e una trasformazione verso forme più aggressive e fatali. Il passaggio avviene attraverso l’evoluzione di alcune cellule che poi vengono selezionate e causano la proliferazione della malattia e la sua diffusione nell’intero organismo. “In un certo senso questa evoluzione clonale mima i passi che portano un tumore dalla sua forma localizzata in un singolo organo a quella metastatica diffusa in sedi anche lontane da quella di origine” aggiunge Vannucchi, che nel corso del programma analizzerà non solo le cellule tumorali, ma anche il microambiente che le circonda e che può avere un ruolo nella selezione dei cloni aggressivi e nella loro disseminazione.
Gli obiettivi
Alla base del programma coordinato dal ricercatore toscano, al quale collaborano in totale sei unità sul territorio nazionale, c’è l’ipotesi che le neoplasie mieloidi rappresentino un modello in più fasi di progressione e diffusione della malattia, legato all’acquisizione di anomalie a livello del genoma. Queste anomalie a loro volta determinano, secondo i ricercatori, la selezione di particolari cloni all’interno della popolazione delle cellule staminali ematopoietiche (dalle quali derivano poi le cellule del sangue) e alterano quelle caratteristiche del midollo osseo che permettono una normale formazione delle componenti del sangue. Tra gli obiettivi primari del progetto c’è quindi l’identificazione delle mutazioni e dei meccanismi genetici e molecolari presenti nelle diverse fasi dell’evoluzione clonale dei tumori verso una patologia aggressiva. Si punta anche a comprendere come i cambiamenti del microambiente possono facilitare la diffusione della malattia, a individuare potenziali biomarcatori capaci di prevedere la progressione e la diffusione del tumore, e a identificare bersagli contro i quali costruire terapie mirate da portare fino al paziente.
Il percorso
- Alla ricerca delle mutazioni più significative. Utilizzando le tecniche molecolari, biochimiche e cellulari più all’avanguardia, le unità operative coordinate da Vannucchi analizzeranno in dettaglio le caratteristiche delle cellule dei tumori mieloidi per cercare le mutazioni responsabili del passaggio da tumore indolente a malattia aggressiva e capace di diffondersi in tutto l’organismo.
- Il dialogo con il microambiente. Le stesse tecniche utilizzate per esaminare le cellule tumorali saranno applicate anche alle cellule del microambiente, attraverso le quali il tumore deve comunque muoversi per raggiungere sedi distanti, e che possono quindi avere un ruolo nella formazione e diffusione delle metastasi.
- Biologia e clinica entrano in contatto. I risultati ottenuti in cellule di laboratorio saranno oggetto di studi di conferma da effettuare sia in modelli animali, sia nei numerosi campioni derivati dai pazienti e raccolti presso i diversi centri coinvolti nel progetto. In seguito verranno progettati anche studi clinici nei quali valutare il ruolo dei biomarcatori e l’efficacia delle terapie mirate, identificate nelle fasi iniziali del lavoro.
- Una rete professionale e tecnologica. “Arrivare fino in fondo a questo progetto significa anche mettere insieme un gruppo di ricercatori in grado di condividere e armonizzare esperienze e competenze differenti, e sviluppare metodi specifici per raggiungere meglio i singoli obiettivi” dice Vannucchi, che vede l’opportunità, grazie al progetto sostenuto da AIRC, di costruire una rete tecnologica con centri di riferimento per l’oncologia italiana.
Perché è importante
L’incidenza delle neoplasie mieloidi è aumentata negli ultimi anni sia per l’invecchiamento della popolazione (sono malattie che spesso si presentano negli anziani) sia per il miglioramento delle tecniche di diagnosi che oggi riescono a identificare come tumore mieloide condizioni che rimanevano senza nome. “Molte di queste patologie, quando si modificano e assumono caratteristiche aggressive, sono difficilmente curabili” ricorda Vannucchi che, assieme ai colleghi, cerca una soluzione identificando nuove strategie di diagnosi e di terapia personalizzata. Dato che le neoplasie mieloidi con la loro evoluzione clonale rappresentano una sorta di modello generale per lo sviluppo di metastasi, i risultati del progetto potrebbero portare benefici anche a pazienti con altri tipi di cancro.
A che punto siamo
Maggio 2022. Per il programma coordinato da Vannucchi vale l’inevitabile premessa legata alla pandemia di Covid-19 che ha rallentato i lavori, senza però mai fermarli completamente, come dimostrano i risultati ottenuti.
Seguendo le linee tracciate all’inizio del programma, i ricercatori hanno lavorato su alcune mutazioni che sono risultate significative, in particolare come marcatori della prognosi di malattia. Tra queste ci sono mutazioni nel gene RAS, che hanno un ruolo in diversi altri tipi di cancro e che nei pazienti con alcuni tumori mieloidi possono indicare la scarsa risposta terapeutica a farmaci a bersaglio molecolare. “Un altro gene che abbiamo studiato approfonditamente nelle sindromi mielodisplastiche e nelle neoplasie mieloproliferative croniche è SRSF2, utilizzato per delineare meglio il profilo clinico, biologico e prognostico di un gruppo di queste patologie” aggiunge Vannucchi.
Sempre restando nell’ambito molecolare, è stata messa a punto una piattaforma per analizzare le mutazioni ereditarie che oggi sappiamo predispongono allo sviluppo di tumori del sangue. Inoltre è in via di completamento uno studio clinico in pazienti che hanno sviluppato una leucemia acuta dopo il tumore cronico. “Nello studio stiamo analizzando il profilo di mutazioni delle cellule midollari dei pazienti, utilizzando un approccio molecolare a singola cellula, la frontiera della ricerca in questo momento” precisa Vannucchi.
La parte del programma legata agli esperimenti con animali di laboratorio ha subito i maggiori ritardi a causa della pandemia. I ricercatori stanno comunque lavorando su una proteina coinvolta nello sviluppo di fibrosi a livello midollare e nel promuovere la “metastatizzazione”. Inoltre stanno proseguendo gli studi sui meccanismi che riguardano il microambiente. Di particolare rilievo è anche l’introduzione in alcuni animali di una mutazione riscontrata nella patologia umana: sarà così possibile approssimare meglio negli animali ciò che si verifica nell’organismo malato.
Infine, in perfetto accordo con quanto previsto dai programmi “5 per 1000”, ha preso il via uno studio clinico multicentrico nazionale in collaborazione con il consorzio GIMEMA, nel quale sarà valutata la possibilità di personalizzare la terapia di induzione delle leucemie mieloidi acute in pazienti che hanno una mutazione specifica nel gene FLT3. Nello studio sono già stati arruolati oltre 50 pazienti. “Lo scopo è cercare di evitare a questi pazienti inutili perdite di tempo, partendo subito con la terapia più adatta” dice Vannucchi, che ricorda anche come sia appena iniziato un secondo studio clinico su un farmaco a bersaglio molecolare contro leucemie secondarie a neoplasie mieloidi croniche, malattie che hanno in genere una prognosi infausta.
“L’idea della rete professionale resta fondamentale, e riguarda sia la condivisione di metodi, sia lo sviluppo di nuovi approcci. Con questa prospettiva abbiamo creato un gruppo di giovani bioinformatici che lavorano sull’interpretazione delle sequenze genomiche e si scambiano esperienze, software e continuano ad aumentare le loro e le nostre conoscenze” conclude il coordinatore del programma.
Un lavoro di squadra
La squadra del progetto Mynerva comprende sei unità operative, ognuna indirizzata all’esplorazione di una parte del progetto generale con esperienza e capacità tecnologiche specifiche, ma con una forte valenza interattiva e collaborativa.
Il gruppo di ricercatori dell’Università di Pavia, guidati da Luca Malcovati, si concentra sulle sindromi mielodisplastiche, un’ampia e variegata famiglia di tumori ematologici, studiando le alterazioni del genoma che possono favorirne l’insorgenza o promuoverne l’evoluzione in leucemia acuta. Le alterazioni studiate possono anche costituire biomarcatori precoci della malattia.
All’IFOM di Milano Elisabetta Dejana si concentra sullo studio del microambiente midollare e della milza. L’obiettivo è interpretare i segnali che le cellule del microambiente e quelle del tumore ematologico si scambiano; comprendere questi segnali potrebbe facilitare la scoperta di farmaci efficaci per bloccare la proliferazione delle cellule tumorali. Per questi studi il gruppo di Dejana si avvale delle cellule di pazienti raccolte dalle unità cliniche di Mynerva e inoltre ricorre anche a esperimenti con animali di laboratorio.
Rossella Manfredini, dell’Università di Modena, utilizza le più avanzate piattaforme tecnologiche per descrivere il genoma e il profilo degli RNA delle cellule dei tumori mieloproliferativi, con l’obiettivo di scoprire mutazioni e meccanismi di attivazione cellulare che potrebbero rappresentare nuovi bersagli per la terapia mirata. Attualmente è allo studio una proteina coinvolta nelle alterazioni fibrotiche del midollo di soggetti con mielofibrosi, uno dei tumori mieloidi cronici.
All’Università di Perugia, Cristina Mecucci e il suo gruppo stanno studiando le forme familiari dei tumori mieloidi, analizzando un certo numero di geni mutati, con metodi all’avanguardia, al fine di comprendere i meccanismi che sottendono allo sviluppo di una leucemia acuta. La capacità di identificare queste mutazioni potrà facilitare la gestione delle forme familiari di leucemia, aiutando a intervenire precocemente e più efficacemente.
Maria Teresa Voso, all’Università di Roma Tor Vergata, ha scelto di studiare una forma particolare di leucemia acuta, la leucemia promielocitica, un tempo detta anche leucemia fulminante (oggi questo nome è fortunatamente sempre più desueto, grazie ai risultati di molti studi di ematologi italiani anche sostenuti da AIRC). In particolare si vuole capire perché in alcuni casi le cellule leucemiche, dotate di particolare capacità diffusiva (“metastatica”), infiltrano non solo il midollo ma anche organi quali il polmone e il sistema nervoso centrale, causando disturbi potenzialmente fatali. Un secondo filone di ricerca sono le leucemie secondarie post-terapia, che insorgono in pazienti che hanno ricevuto, anche con successo, un precedente trattamento chemioterapico per un tumore solido. L’obiettivo è capire se, con lo studio del DNA, si possano identificare delle alterazioni che predispongono allo sviluppo della leucemia acuta secondaria.
Infine, il gruppo di Firenze, guidato da Alessandro Maria Vannucchi, si concentra sull’identificazione di nuove anomalie del DNA in pazienti con tumori mieloidi cronici e acuti, ricorrendo a piattaforme di analisi genomica di terza generazione anche per cellule singole. La speranza è di identificare nuovi geni mutati che possano aiutare nel diagnosticare le forme più rare di questi tumori, anticiparne l’evoluzione e identificare i pazienti più suscettibili di rispondere in maniera ottimale alle terapie. Su queste basi, utilizzando la rete di ricercatori medici di Mynerva, ma coinvolgendo anche altri centri italiani di eccellenza, sono stati attivati due studi clinici, il cui motivo ispiratore comune è la personalizzazione della cura. Questo significa, negli obiettivi dei ricercatori, cercare il massimo risultato con la minima tossicità nei singoli individui sulle base delle unicità della malattia. Al gruppo di Firenze spetta poi il compito di facilitare le interazioni tra le diverse unità per condividere esperienze e tecnologie, ottimizzare gli investimenti, promuovere i contatti tra i ricercatori più giovani, coordinare la distribuzione di prezioso materiale biologico, in particolare i campioni di sangue, midollo e di milza, oltre alle linee di cellule in coltura e agli animali di laboratorio. Firenze è la sede dove si svolgono le riunioni annuali con i revisori internazionali, che ogni anno valutano il lavoro svolto dai ricercatori di Mynerva.
Per approfondire
Visita il sito: http://www.progettomynerva.it/