La coagulazione è il campanello d’allarme per il cancro
Screening dello stato di ipercoagulabilità come strumento per valutare il rischio, la diagnosi precoce e la prognosi nel cancro.
Esiste uno stretto legame tra la trombosi e lo sviluppo del tumore. In particolare, il fenomeno chiamato “ipercoagulabilità”, che indica la tendenza del sangue a formare coaguli (trombi) con una frequenza maggiore del normale, è tipico del cancro. Il programma HYPERCAN (Hypercoagulation and Cancer), coordinato da Anna Falanga dell’Azienda ospedaliera Papa Giovanni XXIII di Bergamo, ha lo scopo di studiare meglio questo legame e si divide in due sottoprogrammi: uno coinvolge oltre 30.000 persone sane e un altro, invece, coinvolge circa 4.000 pazienti con tumori gastrointestinali, della mammella e del polmone. Analizzando il sangue dei partecipanti sani si misurano le concentrazioni di molecole che sono marcatori della coagulazione – alcuni già noti, altri più nuovi e innovativi. Lo scopo è individuare fra queste, le molecole che possono indicare un aumento del rischio di sviluppare un tumore o la presenza del cancro in fase iniziale. Analisi simili, condotte in pazienti con il tumore, possono evidenziare se tali marcatori siano associati a una prognosi migliore o peggiore e se possano far prevedere la risposta alla terapia. Il tutto con l’obiettivo finale di mettere a punto strumenti semplici e relativamente poco costosi da utilizzare in clinica.
Si parte dalle fondamenta
Quello portato avanti dai ricercatori guidati da Anna Falanga è un programma innovativo perché rappresenta il primo caso di uno studio prospettico di così grandi dimensioni per valutare il legame tra la coagulazione del sangue e il cancro. Come spiegano i ricercatori, infatti, tutto quello che oggi si conosce sull’argomento è frutto di studi condotti in laboratorio, con modelli animali o con piccoli gruppi di pazienti, mentre in questo caso si punta a grandi numeri, coinvolgendo nella ricerca migliaia di persone sia sane sia affette dal tumore. Lo scopo finale è capire se quanto è già noto dal punto di vista della biologia di base possa essere trasferito nella pratica clinica, sia in relazione al rischio di ammalarsi di cancro, sia per capire quale potrà essere il decorso della malattia.
Essere i primi ha di certo molti vantaggi, ma crea anche nuove sfide: si tratta di costruire da zero un progetto molto complesso, che richiede strutture e personale adeguato e un grande sforzo per coordinare la ricerca clinica con quella di base. La prima e fondamentale parte del programma è stata dunque la creazione degli strumenti di lavoro: sono state fisicamente aperte le biobanche dove conservare i campioni, definite le strutture per portare avanti la parte sperimentale e le strategie per coinvolgere i volontari per lo studio con i soggetti sani. Sono anche stati creati i questionari da utilizzare per raccogliere informazioni sui partecipanti e gli strumenti informatici per analizzare i dati raccolti.
Un esercito di volontari sani
Per cercare i marcatori della coagulazione che possano aiutare a precedere o a diagnosticare il tumore in fase precoce, i ricercatori sono partiti da due gruppi molto grandi di persone sane (o meglio senza tumore). Il primo gruppo è composto da donatori di sangue prevalentemente lombardi, che sono sottoposti a due prelievi di sangue, uno al momento dell’ingresso nel progetto e uno dopo 6-12 mesi. Da novembre 2012, l’inizio dell’arruolamento, sono stati già coinvolti circa 6.000 donatori, il 60 per cento dei 10.000 previsti, e per metà di loro sono già stati eseguiti entrambi i prelievi. Procede in parallelo anche l’analisi dei questionari sullo stile di vita che fornisce importanti informazioni oltre a quelle che si possono ricavare dal prelievo di sangue. Il secondo gruppo di persone è rappresentato invece dai partecipanti allo studio MoliSani, che ha coinvolto circa 26.000 persone della regione Molise, e delle quali sono disponibili informazioni sullo stile di vita e prelievi di sangue da analizzare. Dal progetto sono stati esclusi tutti coloro che avevano già una diagnosi di tumore. A fine 2015 circa un quarto dei prelievi effettuati è giunto ai laboratori bergamaschi per l’analisi
Verso la diagnosi precoce passando dal sangue
Alcuni volontari – sia donatori di sangue sia partecipanti allo studio MoliSani – coinvolti nel programma di ricerca coordinato da Anna Falanga hanno sviluppato un tumore dopo l’ingresso nello studio. Alla fine del 2015, nel gruppo dei donatori sono stati diagnosticati 31 casi di tumore (tra i quali colon, prostata, mammella e polmone), mentre nel gruppo dello studio MoliSani – già seguito da lungo tempo – le diagnosi sono state circa 1.000.
Analizzando i livelli di diversi marcatori della coagulazione, i ricercatori puntano a identificare quelli più promettenti da poter utilizzare in un modello di rischio che, per la prima volta, riescano a diagnosticare un tumore precocemente o a identificare le persone con maggior rischio di malattia.
I primi dati ottenuti, seppur ancora molto preliminari, sembrano accendere i riflettori su alcuni marcatori come possibili campanelli di allarme per il rischio di tumore. Si tratta in particolare di t-PA, PAI-1 e D-dimero, i cui livelli particolarmente alti sembrano indicare un maggior rischio di tumore. Nel tempo questi risultati verranno confermati o modificati sulla base dell’analisi di altri campioni e serviranno anche a selezionare, nell’ampio pannello di molecole previste inizialmente nel programma, quelle più promettenti sulle quali continuare le ricerche.
Quando il tumore è già presente
I livelli di alcuni marcatori presenti nel sangue potrebbero aiutare anche chi ha già sviluppato un tumore e deve fare i conti con le terapie. Ecco perché nel programma coordinato da Anna Falanga sono coinvolte anche persone che hanno già una diagnosi di cancro e si trovano in diverse fasi della malattia, da quelle iniziali a quelle in cui il tumore è diffuso e in metastasi. In questo caso non si cercano strumenti per arrivare alla diagnosi (che già c’è), ma piuttosto molecole che possano aiutare a capire quale sarà il decorso della malattia e quale sarà la migliore risposta al trattamento.
Prosegue quindi il coinvolgimento dei pazienti che, al termine del 2015, era giunto al 60 per cento circa (2.377 pazienti su un totale previsto di 4.000). In particolare, si è raggiunto il numero previsto dei pazienti con tumore del polmone (500), è molto avanzato l’arruolamento dei pazienti con tumore della mammella (1.500 pazienti previsti), mentre si sta faticando un po’ per il gruppo dei pazienti con tumore gastrointestinale. Dal momento che, rispetto al programma dedicato a volontari sani, cambia l’obiettivo dello studio, cambiano anche le modalità di raccolta dei campioni. Resta il prelievo di sangue all’inizio dello studio, mentre i tempi dei successivi prelievi cambiano a seconda che il tumore sia limitato oppure siano già presenti metastasi.
Il sangue aiuta a “predire il futuro” della malattia
Sono attualmente in corso le analisi dei campioni di sangue prelevati dai pazienti con tumore già diagnosticato e coinvolti nello studio, alla ricerca di segnali che possano predire l’andamento della malattia (ritorno del tumore dopo le cure, maggiore aggressività eccetera) o la risposta ai farmaci.
I primi risultati, preliminari poiché ottenuti solo in una parte della popolazione finale, ci sono e già mettono in luce alcune molecole potenzialmente importanti per raggiungere gli obiettivi del programma, in particolare D-dimero, fibrinogeno e TG (Thrombin Generation). In dettaglio ecco cosa emerge dalle analisi:
- i livelli di fibrinogeno e D-dimero valutati da soli o in combinazione sono utili per predire la sopravvivenza nella popolazione totale;
- dopo che il tumore è stato asportato con la chirurgia, alti livelli di TG sono associati a una maggiore probabilità che la malattia ritorni;
- alti livelli di TG aiutano a predire il tromboembolismo venoso nella popolazione totale dei pazienti. Nell’ultimo caso si è visto che, aggiungendo anche il valore di TG in modelli già esistenti per predire il rischio trombotico, è possibile identificare con più precisione i pazienti a rischio di sviluppare tromboembolismo venoso.