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In corso
PROGRAMMA DI STUDIO DELLE METASTASI

Uno sguardo nuovo sulle metastasi, malattia “meccanica”

Per comprendere e attaccare un problema tanto importante come le metastasi bisogna cambiare prospettiva. Ne è convinto Stefano Piccolo, dell’Università di Padova e dell’Istituto FIRC di oncologia molecolare (IFOM), beneficiario di uno dei finanziamenti per i programmi “5 per mille” AIRC dedicati proprio allo studio delle metastasi. “Le metastasi sfuggono alla definizione di malattia genetica che ben si adatta alla maggior parte dei tumori primari: per decenni i ricercatori di tutto il mondo hanno cercato mutazioni genetiche associate a queste cellule che migrano e crescono in organi diversi da quello di origine, senza particolare successo” spiega il ricercatore che, con la sua squadra formata da 16 gruppi attivi in sei centri di ricerca, concentrerà la propria attenzione in particolare sulle metastasi del tumore mammario. “Questa neoplasia oggi si cura con buoni risultati quando il tumore è soltanto primario. Le metastasi invece rappresentano una sfida irrisolta” aggiunge. Per cercare di affrontare tale sfida serve, secondo il gruppo guidato da Piccolo, una biologia nuova che tenga conto anche degli aspetti meccanici e fisici che influenzano il comportamento delle cellule. “Grazie al sostegno di AIRC che ci accompagnerà per ben sette anni potremo approfondire i dati preliminari oggi disponibili, che ci fanno ipotizzare la presenza di spinte di tipo meccanico alla base dei processi che portano le metastasi a stabilirsi in un determinato ambiente e a crescere fino a diventare letali” afferma il ricercatore.

Gli obiettivi

L’obiettivo principale del programma coordinato da Stefano Piccolo è comprendere a fondo il ruolo dei meccanismi di meccano-trasduzione nelle metastasi del tumore mammario. In altre parole si tratta di capire come i segnali e le spinte di tipo meccanico e fisico siano in grado di dare alle metastasi quella sorta di superpotere che permette loro di crescere in ambienti diversi. Verranno studiate in particolare le caratteristiche del microambiente metastatico e sarà prestata grande attenzione al ruolo di molecole definite come meccano-trasduttori, tra cui la molecola ATR, coinvolta nella riparazione del danno, e di YAP e TAZ, la cui attivazione dipende proprio dagli stimoli meccanici che arrivano dal microambiente. Il programma punta anche a identificare nuovi bersagli contro i quali indirizzare terapie mirate e nuove strategie terapeutiche che, agendo sugli aspetti meccanici delle metastasi, possano migliorare l’efficacia delle attuali terapie, prima tra tutte l’immunoterapia.

Il percorso

  1. Un dialogo fitto e complesso. La ricerca negli ultimi decenni ha stabilito che la progressione metastatica dei tumori dipende in larga parte dalle caratteristiche della cellula tumorale e dalle sue interazioni anche di tipo fisico e meccanico con il microambiente nel quale la cellula si trova. Proprio dal microambiente le cellule ricevono stimoli che ne influenzano il destino. “Sappiamo per esempio che il microambiente delle metastasi è caratterizzato dalla presenza di abbondante collagene che lo rende fisicamente più duro, e che pensiamo abbia una funzione strumentale in grado di favorire la crescita delle metastasi” dice Piccolo. I ricercatori hanno quindi deciso di caratterizzare in modo dettagliato le interazioni non solo biologiche, ma anche e soprattutto meccaniche tra i diversi attori presenti in questo scenario, per comprendere meglio il dialogo in corso e magari trovare spunti per inserirsi in questa comunicazione e interromperla o modificarla. “Identificare un segnale meccanico modificato in questo contesto rispetto alla norma significa trovare un punto potenzialmente debole delle metastasi e magari un bersaglio sul quale agire in modo mirato” spiega il ricercatore.
  2. Studiare la meccanica attraverso i geni. Per studiare il fitto dialogo e la “meccanicità” delle cellule del tumore mammario, Piccolo e colleghi passeranno attraverso lo studio della regolazione dei geni meccano-trasduttori YAP, TAZ e ATR. Lavorando con campioni prelevati da pazienti e con cellule di laboratorio, i ricercatori vogliono verificare se e come le metastasi possano cambiare comportamento in funzione del microambiente in cui vengono poste. Tale microambiente sperimentale potrà avere caratteristiche diverse, per esempio potrà essere più o meno duro. Un altro approccio sarà invece di agire sulle cellule, cambiandone le caratteristiche meccaniche in modo da permettere magari all’ambiente di agire su di esse, riportandole alla normalità o magari a un comportamento meno aggressivo. Per questa parte del programma verranno utilizzati campioni specifici per ogni singolo paziente che verranno analizzati in dettaglio grazie a tecniche avanzate e tecnologie all’avanguardia. Prima di arrivare al paziente, i risultati verranno anche valutati in animali di laboratorio.
  3. Nuova forza a terapie ormai deboli. Modificare la “meccanicità” agendo sulle cellule metastatiche o sul microambiente che le circonda potrebbe non bastare per eliminare il problema in modo definitivo. Ecco perché all’interno del programma sono previsti anche studi clinici che andranno a valutare potenziali nuovi approcci terapeutici, come l’uso di un trattamento che punta a colpire gli aspetti meccanici da combinare, per esempio, con la chemioterapia. “Poiché YAP e ATR regolano anche la risposta alla chemioterapia, abbiamo deciso di inserire nel programma alcuni studi che in gergo tecnico chiamiamo di priming e re-challenging” spiega Piccolo. In questi studi i pazienti che hanno sviluppato resistenza a trattamenti standard verranno nuovamente sottoposti allo stesso trattamento (re-challenging) dopo la somministrazione (priming) di una terapia con un trattamento “ammorbidente”, che modifica gli aspetti meccanici favorevoli alle metastasi.
  4. Attacchiamo su più fronti. Un altro possibile approccio che verrà valutato nel corso del programma è la combinazione di strategie terapeutiche diverse. “Un aspetto che ci proponiamo di studiare è per esempio l’integrazione dei nostri studi sulla meccanicità con la risposta ai nuovi farmaci immunoterapici” dice il ricercatore, ricordando che, al momento, l’immunoterapia è utilizzata solo in fase iniziale nel tumore mammario e ha portato a risultati spesso contrastanti. L’idea è di combinare diverse terapie in modo da inibire completamente le proprietà meccaniche delle metastasi o, viceversa, di spingere tali proprietà fino alle estreme conseguenze: uno “strappo” meccanico potrebbe forse renderle più riconoscibili da parte del sistema immunitario. “In generale possiamo dire che un approccio unico non basta, ma serve una combinazione di approcci per arrivare al risultato finale e battere il tumore che, non dimentichiamolo, ha dalla sua la forza più potente che esista in natura: l’evoluzione” dice Piccolo.

Perché è importante

Il tumore mammario è il cancro con il maggior numero di nuovi casi diagnosticati ogni anno in Italia (circa 55.000) e rappresenta il 30,3 per cento di tutte le diagnosi di tumore nelle donne. I risultati ottenuti nel corso del programma dovrebbero permettere di ottenere nuove strategie terapeutiche contro il tumore del seno metastatico, magari in combinazione con terapie già esistenti, e di individuare strumenti per una classificazione più precisa delle pazienti. Si tratta in entrambi i casi di agire sui segnali di tipo meccanico, che rappresentano una delle forze che portano alla nascita e alla crescita delle cellule metastatiche. “Spingendo lo sguardo oltre il tumore mammario, potremmo in linea di principio estendere i risultati che otterremo anche ad altri tumori, nei quali le cellule metastatiche rispondono probabilmente agli stimoli meccanici in modo simile” conclude Piccolo.

A che punto siamo

Aprile 2021. Sono tre le linee portanti – tutte legate agli aspetti “meccanici” della malattia – sulle quali si sono mossi i ricercatori coordinati da Stefano Piccolo e dalle quali stanno emergendo i primi importanti risultati. La prima di queste linee riguarda il duplice ruolo della meccano-trasduzione, ovvero il fatto che da un lato queste forze meccaniche sono un fattore che aiuta lo sviluppo del tumore, ma allo stesso tempo rappresentano una forte vulnerabilità del tumore causando appunto degli “strappi”. “Abbiamo studiato meglio questo effetto ‘strappo’ per cercare poi di sfruttarlo come punto debole del tumore” dice Piccolo ricordando come questa dualità della meccanica offra una doppia possibilità terapeutica. “Possiamo inibire la progressione o la diffusione delle cellule tumorali che si basa sulla meccanica, ma possiamo anche sfruttare la meccanica per ‘imbrogliare’ il sistema e rendere accessibile alle cellule del sistema immunitario il fortino che il tumore crea per difendersi” aggiunge. Lavorando in questo senso, i ricercatori hanno già identificato alcuni meccanismi importanti attivati proprio dalle forze meccaniche e sui quali si potrà potenzialmente agire con approcci mirati.

Il secondo aspetto sul quale si concentra l’attenzione del gruppo di lavoro riguarda il contesto. “L’idea che anima dall’inizio lo studio è che il cancro è sì una malattia dei geni ma anche una malattia dell’ambiente, e i due aspetti sono profondamente legati” dice Piccolo. Ecco perché i ricercatori si stanno concentrando sul creare una sorta di “carta di identità” che descriva in dettaglio tutte le alterazioni presenti in ciascuno degli inquilini del “condominio” che costituisce il tessuto tumorale, confrontato con quello normale. Un lavoro che prevede l’utilizzo delle più moderne tecnologie come l’analisi a singola cellula innanzitutto delle cellule tumorali, ma anche di quelle di supporto o che fanno parte del sistema immunitario. “Oggi, con l’analisi anatomo-patologica con il microscopio e pochi marcatori, riusciamo a classificare i pazienti, stabilire la prognosi e scegliere la migliore terapia. Immaginiamoci cosa si potrà fare con questo nuovo approccio che ci permette di utilizzare dati su centinaia o migliaia di geni espressi per ogni singola cellula” afferma Piccolo. “Il cancro è un melting-pot di cellule diverse, ed è quindi assimilabile a una comunità di individui che, per quanto alterata, ha delle sue regole, i suoi contatti, vitali al suo auto-sostentamento e al suo rimanere sotto traccia da parte della ‘polizia’, che poi sarebbe il sistema immunitario.” Ebbene solo conoscendo nomi e cognomi degli abitanti del quartiere può divenire possibile ricostituire questo social network aberrante e identificarne i punti deboli.

I ricercatori hanno inoltre studiato le proprietà pro-cancro della meccanica e dei trasduttori che vengono coinvolti in questi meccanismi. Grazie all’analisi a singola cellula i ricercatori hanno compreso che la meccanica porta le cellule a sviluppare quella che si chiama plasticità fenotipica, ovvero la capacità di adottare “personalità multiple”. Si crea una variabilità dell’identità delle cellule che invece normalmente è molto ben preservata nei tessuti. I segnali meccanici aberranti rompono gli argini che permettono alla cellula di mantenere una identità specifica (per esempio di cellula mammaria). È un po’ come se la cellula indossasse molte maschere ciascuna delle quali con potenzialità particolari, magari anche quella di dare metastasi. “Più studiamo questo aspetto, maggiori sono le vie di intervento che si aprono, ma aumenta anche il numero di domande alle quali rispondere” precisa Piccolo, spiegando che anche questa “crisi di identità” delle cellule ha due risvolti opposti: da un lato rappresenta un pericolo perché è certamente più difficile colpire una cellula che cambia aspetto, ma dall’altro rappresenta un’opportunità, perché probabilmente non tutte queste maschere sono in realtà dannose. Più si scava più domande emergono. “La metastasi è il prodotto di tante di queste maschere o solo di una? Se fosse solo di una avremmo un bersaglio molto più definito” conclude.

Un lavoro di squadra

Il gruppo coordinato da Stefano Piccolo nell’ambito del programma “5 per mille” AIRC dedicato allo studio delle metastasi è formato da 16 gruppi di ricerca dislocati su tutto il territorio nazionale. Fanno parte del consorzio l’IFOM di Milano, l’Università di Padova, l’Istituto Regina Elena di Roma, l’Università di Modena e Reggio Emilia, l’Istituto Mario Negri di Milano e l’Università di Palermo.

Per affrontare la sfida ancora irrisolta delle metastasi serve una multidisciplinarità di saperi e dedizione nell’affrontare tematiche di frontiera, ancora poco battute.

Gli studi messi in campo dai gruppi coinvolti nel programma partono da basi già consolidate in precedenza: una su tutte, lo studio della molecola ATR, un meccano-trasduttore già noto per il suo ruolo nella riparazione del danno al DNA e originalmente scoperto in questo ruolo da Marco Foiani, direttore scientifico dell’IFOM.

Sempre all’IFOM di Milano, Silvia Marsoni si occuperà di “tradurre” i risultati di laboratorio in applicazioni cliniche grazie alla sua ampia esperienza in questo campo. Il coordinamento degli studi clinici sarà di Pierfranco Conte, dell’Università di Padova e dell’Istituto oncologico veneto (IOV), grazie alla sua lunga esperienza nella cura del cancro mammario. A Padova si stanno inoltre sperimentando nuovi approcci terapeutici e diagnostici che ci aiuteranno a comprendere meglio la possibilità di integrare gli studi sugli aspetti meccanici del cancro con la risposta all’immunoterapia.

Massimiliano Pagani, dell’IFOM, e Antonio Rosato, dello IOV, lavorano per creare la “carta di identità” sia delle cellule tumorali sia delle cellule con cui esse interagiscono. Pagani utilizzerà la tecnica dell’analisi a singola cellula, di cui è uno dei pionieri, mentre Rosato sperimenterà nuovi approcci in ambito immunopatologico.

Infine, grazie al contributo di patologi come Matteo Fassan (Padova) e Claudio Tripodo (Palermo), il gruppo sta studiando a fondo le diverse “maschere” indossate dalle cellule tumorali in seguito a stimoli meccanici, valutando sul campo – ovvero in campioni ottenuti da pazienti – le ipotesi teoriche.

“Sono orgoglioso del nostro gruppo di colleghi, che raccoglie tutti i migliori ricercatori di questo campo, e che lavorano in sinergia verso un obiettivo comune: combattere le metastasi colpendo il loro tallone d’Achille biomeccanico” dice Piccolo.

Stefano Piccolo

Responsabile

Dopo la laurea e il dottorato di ricerca conseguiti presso l’Università di Padova, Stefano Piccolo ha passato quattro anni in California, alla University of California a Los Angeles, studiando la biologia dello sviluppo embrionale nel laboratorio diretto da Eddy De Robertis e sostenuto dal prestigioso Howard Hughes Medical Institute. Oggi Stefano Piccolo è professore ordinario di biologia molecolare presso il Dipartimento di medicina molecolare, Scuola di medicina e chirurgia dell’Università di Padova; è inoltre un ricercatore dell’IFOM di Milano, dove coordina il programma di Biologia dei tessuti e tumorigenesi. La sua attività di ricerca ruota attorno allo studio di come le cellule si relazionano con l’ambiente, e i segnali che da esso derivano, per mantenere la propria forma e funzione. La rottura di questo equilibrio può portare al cancro, e questo è un altro tema al centro delle sue ricerche. In particolare i fattori di trascrizione YAP/TAZ che, come ha scoperto proprio Piccolo, sono usati dalle cellule come “meccanorecettori”, ovvero molecole che aiutano a tradurre in linguaggio molecolare l’informazione che deriva dalle caratteristiche fisiche e strutturali del microambiente e delle cellule stesse. Con questa scoperta Piccolo ha dato origine a un nuovo filone di ricerca, la “meccanobiologia”, e a un nuovo modo di guardare al cancro. Tanti i riconoscimenti scientifici ottenuti da Piccolo, che è anche membro dell’EMBO (dal 2007) e dell’Accademia dei Lincei (dal 2014).

Bando 2019

Nome Bando

Programma per lo studio delle metastasi

Responsabile

Stefano Piccolo

Istituto ospitante

Università degli Studi di Padova

Importo annuo in corso

€ 2.275.000

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