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PROGRAMMA DI STUDIO DELLE METASTASI

Uno sguardo nuovo sulle metastasi, malattia “meccanica”

Per comprendere e attaccare un problema tanto importante come le metastasi bisogna cambiare prospettiva. Ne è convinto Stefano Piccolo, dell’Università di Padova e dell’Istituto fondazione di oncologia molecolare (IFOM), beneficiario di uno dei finanziamenti per i programmi 5 per mille AIRC dedicati proprio a questo problema. “Le metastasi sfuggono alla definizione di malattia con origine in mutazioni genetiche che ben si adatta alla maggior parte dei tumori primari. Per decenni i ricercatori in molte parti del mondo hanno cercato mutazioni specifiche, in queste cellule che migrano e crescono in organi diversi da quello di origine, senza particolare successo” spiega il ricercatore che, con la sua squadra formata da 17 gruppi attivi in 11 centri di ricerca, sta concentrando la propria attenzione in particolare sulle metastasi del tumore mammario. “Questa neoplasia oggi si cura con buoni risultati quando il tumore è soltanto primario. Le metastasi invece rappresentano una sfida irrisolta” aggiunge. Per cercare di affrontare tale sfida serve, secondo il gruppo guidato da Piccolo, una biologia nuova che tenga conto anche degli aspetti meccanici e fisici che influenzano il comportamento delle cellule metastatiche. “Grazie al sostegno di AIRC che ci accompagnerà per ben sette anni, potremo approfondire i dati preliminari oggi disponibili, che ci fanno ipotizzare la presenza di spinte di tipo meccanico alla base dei processi che portano le metastasi a stabilirsi in un determinato ambiente e a crescere fino a diventare letali” afferma il ricercatore.

Gli obiettivi

L’obiettivo principale del programma coordinato da Stefano Piccolo è comprendere a fondo il ruolo dei meccanismi di meccano-trasduzione nelle metastasi del tumore mammario. In altre parole, si tratta di capire come i segnali e le spinte di tipo meccanico e fisico siano in grado di dare alle metastasi quella sorta di superpotere che permette loro di crescere in ambienti diversi e ostili. Verranno studiate in particolare le caratteristiche del microambiente metastatico e sarà prestata grande attenzione al ruolo di molecole chiamate meccano-trasduttori, tra cui la molecola ATR, coinvolta nella riparazione dei danni al DNA, e di YAP e TAZ, la cui attivazione dipende proprio dagli stimoli meccanici che arrivano dal microambiente. Nel corso del programma si cercherà anche di identificare nuovi bersagli contro i quali indirizzare terapie mirate e nuove strategie terapeutiche che, agendo sugli aspetti meccanici delle metastasi, possano migliorare l’efficacia delle attuali cure, prima tra tutte l’immunoterapia.

Il percorso

Un dialogo fitto e complesso. La ricerca negli ultimi decenni ha stabilito che la progressione metastatica dei tumori dipende in larga parte dalle caratteristiche delle cellule tumorali e dalle loro interazioni anche di tipo fisico e meccanico con il microambiente nel quale le cellule si trovano. Proprio dal microambiente le cellule ricevono stimoli che ne influenzano il destino. “Sappiamo per esempio che il microambiente delle metastasi è caratterizzato dalla presenza di abbondante collagene, che rende questa porzione di tessuto fisicamente più dura. Noi pensiamo che questa caratteristica sia strumentale alla crescita delle metastasi” dice Piccolo. I ricercatori hanno quindi deciso di caratterizzare in modo dettagliato le interazioni non solo biologiche, ma anche e soprattutto meccaniche tra i diversi attori presenti in questo scenario, per comprendere meglio il dialogo in corso e magari trovare spunti per inserirsi in questa comunicazione, interrompendola o modificandola. “Identificare un segnale meccanico alterato in questo contesto rispetto alla norma significa trovare un punto potenzialmente debole delle metastasi e magari un bersaglio sul quale agire in modo mirato” spiega il ricercatore.

Studiare la meccanica attraverso i geni. Per studiare il fitto dialogo e la meccanicità delle cellule del tumore mammario, Piccolo e colleghi passeranno attraverso lo studio della regolazione dei geni all’origine delle proteine meccano-trasduttrici YAP, TAZ e ATR. Lavorando con campioni prelevati da pazienti e con cellule di laboratorio, i ricercatori vogliono verificare se e come le metastasi possano cambiare comportamento in funzione del microambiente in cui vengono poste. Tale microambiente sperimentale potrà avere caratteristiche diverse, per esempio essere più o meno duro. Un altro approccio sarà invece di agire sulle cellule, cambiandone le caratteristiche meccaniche in modo da permettere magari all’ambiente di agire su di esse, riportandole alla normalità o a un comportamento meno aggressivo. Per questa parte del programma verranno utilizzati campioni specifici ottenuti da singoli pazienti, che verranno analizzati in dettaglio grazie a tecniche avanzate e tecnologie all’avanguardia. Prima di arrivare a studi clinici con i pazienti, i risultati dovranno però essere anche valutati in animali di laboratorio.

Attaccare su più fronti. Muoversi su un solo fronte, modificando la “meccanicità” e agendo sulle cellule metastatiche o sul microambiente che le circonda, potrebbe non bastare a eliminare un tumore in modo definitivo. Proprio per questo motivo il programma prevede di valutare in studi clinici nuovi approcci terapeutici che agiscano su più fronti. Per esempio si proverà a combinare i trattamenti che colpiscono aspetti meccanici con strategie terapeutiche diverse, come l’immunoterapia. “Ci proponiamo di integrare i nostri studi sulla meccanicità con la risposta ai nuovi farmaci immunoterapici” afferma Stefano Piccolo, sottolineando che, al momento, l’immunoterapia è utilizzata solo in fase iniziale nel tumore mammario, con risultati spesso contrastanti. L’idea è inibire completamente le proprietà meccaniche delle metastasi o, viceversa, di spingere tali proprietà fino alle estreme conseguenze: forse uno “strappo” meccanico potrebbe renderle più riconoscibili da parte del sistema immunitario.

Perché è importante

Il tumore mammario è il cancro con il maggior numero di nuovi casi diagnosticati ogni anno in Italia (più di 55.000) e rappresenta circa il 30 per cento di tutte le diagnosi di tumore nelle donne. I risultati ottenuti nel corso del programma dovrebbero permettere di ottenere nuove strategie terapeutiche contro il tumore del seno metastatico, magari in combinazione con terapie già esistenti, e di individuare strumenti per una classificazione più precisa delle pazienti. Si tratta in entrambi i casi di agire sui segnali di tipo meccanico, che rappresentano una delle forze che portano alla nascita e alla crescita delle cellule metastatiche. “Spingendo lo sguardo oltre il tumore mammario, forse potremmo estendere i risultati che otterremo anche ad altri tipi di tumore, nei quali le cellule metastatiche possibilmente rispondono agli stimoli meccanici in modo simile” conclude Piccolo.

A che punto siamo

Aprile 2023. Il programma coordinato da Stefano Piccolo procede lungo tre linee portanti – tutte legate agli aspetti meccanici della malattia – dalle quali stanno emergendo i primi importanti risultati.
Il primo ambito riguarda lo studio del contesto. “Fin dall’inizio questo programma è stato animato dall’idea che il cancro sia una malattia non solo dei geni, ma anche dell’ambiente, e i due aspetti siano profondamente legati” dice Stefano Piccolo. I ricercatori intendono creare una sorta di carta di identità del tumore, che descriva in dettaglio tutte le alterazioni del tessuto tumorale e metastatico, da confrontare con le caratteristiche dei tessuti normali. Per questo lavoro si utilizzano le più moderne tecnologie, come l’analisi a singola cellula delle cellule tumorali primarie e metastatiche, ma anche di quelle di supporto e che fanno parte del sistema immunitario. Questa linea di ricerca ha già permesso di rispondere ad alcuni quesiti importanti della biologia delle metastasi. Per esempio, i ricercatori hanno compreso che le cellule metastatiche riciclano i programmi di attività cellulare attivati durante alcune fasi dello sviluppo fetale o per la rigenerazione dei tessuti, come quando una ferita viene rimarginata. “Questi programmi conferiscono alla cellula metastatica abilità straordinarie” afferma Piccolo. Partendo da qui i ricercatori stanno cercando di comprendere il legame tra la loro espressione e il tessuto dove si stabilisce una metastasi, per poterne colpire lo sviluppo.

Un altro fronte del programma procede con le analisi di trascrittomica spaziale, che permette non solo di analizzare, ma anche di localizzare con altissima precisione l’attività di centinaia di geni (e in futuro forse migliaia) nel loro contesto biologico, direttamente sul tessuto del paziente. L’obiettivo è costruire una vera e propria carta geografica dove verranno mappate tutte le cellule dell’ecosistema tumorale o metastatico e le loro interazioni. Servirebbe a orientare lo sviluppo di nuove strategie terapeutiche per interrompere il dialogo tra metastasi e ambiente circostante, e quindi indurre la malattia in regressione o mantenere le metastasi quiescenti, come in uno stato di letargo perenne.

Queste analisi vanno di pari passo con la caratterizzazione delle cellule e delle loro interazioni di tipo fisico e meccanico con il microambiente tumorale o metastatico nel quale si trovano. Diversi approcci vengono utilizzati in questa parte del programma, da quello bioinformatico a quello della microscopia di seconda generazione armonica. Si tratta di un sistema di imaging avanzato che permette di visualizzare nel dettaglio la struttura di cellule e tessuti nel loro stato naturale e di quantificare in modo specifico e riproducibile sia i vari componenti dell’ambiente tumorale, sia le proprietà meccaniche che possono influenzare il comportamento delle cellule neoplastiche. Da queste analisi stanno emergendo possibili biomarcatori, legati a tratti molecolari e caratteristiche fisiche delle cellule e del microambiente. Se saranno validati, potrebbero aiutare a distinguere le forme più o meno aggressive della malattia o prevedere la risposta a particolari terapie.
Fondamentale per condurre tutte queste analisi è il protocollo clinico METAMECH. Partito nei primi mesi del programma, si occupa di realizzare una piattaforma clinica per raccogliere e studiare i campioni biologici e i dati dei pazienti. METAMECH sostiene i diversi progetti traslazionali in cui è articolato il programma, al momento coinvolge cinque centri clinici in Italia e ha già arruolato più di 270 pazienti.

Un secondo aspetto sul quale si concentra l’attenzione del gruppo di lavoro riguarda lo studio dei meccano-trasduttori, proteine che rispondono agli stimoli fisici inducendo cambiamenti nel comportamento delle cellule. Tra i vari effetti, possono innescare molteplici processi cellulari, tra cui preservare l’integrità della membrana nucleare, la struttura che protegge il nucleo della cellula, dove è custodito il patrimonio genetico. Questa parte del programma sta mostrando, da più punti di vista, l’esistenza di una connessione tra meccano-trasduzione e attività del sistema immunitario. Se questo legame sarà confermato, potrà portare a potenziare l’effetto dell’immunoterapia e sperabilmente a superarne i limiti attuali.

Proprio sulla base di questi risultati, sta per essere avviata la terza linea portante del programma: uno studio clinico terapeutico. “Intendiamo sfruttare le conoscenze finora acquisite sulla meccanica delle cellule tumorali per ‘imbrogliare’ il sistema e rendere accessibile al sistema immunitario le barriere difensive della neoplasia” dice Piccolo, riferendosi allo studio interventistico ATRiBRAVE, progettato per rendere di nuovo sensibili all’immunoterapia i tumori metastatici, diventati resistenti al trattamento.
Se da un lato le forze meccaniche aiutano lo sviluppo del tumore e delle metastasi, allo stesso tempo possono essere un elemento di vulnerabilità. “Grazie al sostegno di AIRC, stiamo studiando in maniera approfondita la dipendenza dei tumori e delle metastasi dagli stimoli meccanici aberranti, per cercare di trasformarla nel loro punto di debolezza” dice Piccolo e aggiunge “in esperimenti di laboratorio abbiamo scoperto che agendo su di essa possiamo inibire la progressione della malattia”. Su questo fronte, i ricercatori stanno valutando una varietà di approcci mirati. Il passo successivo vedrà la valutazione in clinica delle combinazioni più efficaci tra strategie diverse ai trattamenti immunoterapici o chemioterapici.

Un lavoro di squadra

Il gruppo coordinato da Stefano Piccolo nell’ambito del programma 5 per mille di AIRC dedicato allo studio delle metastasi è formato da 17 unità di ricerca dislocate su tutto il territorio nazionale. Fanno parte del consorzio l’Università di Padova, l’IFOM e l’Università statale di Milano, l’Istituto Mario Negri, l’Humanitas e l’Istituto nazionale dei tumori (INT), l’Istituto oncologico veneto (IOV) di Padova, l’Istituto Regina Elena di Roma, l’Università di Modena e Reggio Emilia, l’ICGEB di Trieste e l’Università di Palermo.
Per affrontare la sfida ancora irrisolta delle metastasi serve infatti saper combinare una molteplicità di saperi e approcci e dedicarsi con dedizione a tematiche ancora poco conosciute.
Le ricerche che stanno realizzando i gruppi coinvolti nel programma partono da basi già consolidate in precedenza, come lo studio della molecola ATR, un meccano-trasduttore già noto per il suo ruolo nella riparazione dei danni al DNA e originalmente scoperto in questa funzione da Marco Foiani dell’IFOM di Milano.
Sempre all’IFOM, Vincenzo Costanzo è impegnato nella caratterizzazione di specifici programmi di attività che dipendono da ATR. Giorgio Scita studia i cambiamenti meccanici dell’ecosistema tumorale durante la progressione della malattia, mentre Silvia Marsoni si occupa di tradurre i risultati di laboratorio in applicazioni cliniche grazie alla sua ampia esperienza in questo campo. La progettazione degli studi clinici è guidata, per gli aspetti statistici, da Valter Torri dell’Istituto Mario Negri, mentre il loro coordinamento è di Valentina Guarneri, dell’Università di Padova e dell’Istituto oncologico veneto (IOV), con il contributo di Claudio Vernieri dell’INT e di Alberto Zambelli dell’Humanitas.
Rosario Rizzuto, all’Università di Padova, sviluppa sensori per studiare la risposta dei tessuti agli stimoli meccanici. Massimiliano Pagani, dell’Università di Milano, e Antonio Rosato, dello IOV, lavorano per creare la carta di identità sia delle cellule tumorali sia delle cellule con cui esse interagiscono. Pagani sta utilizzando la tecnica dell’analisi a singola cellula, di cui è uno dei pionieri, mentre Rosato sta sperimentando nuovi approcci in ambito immunopatologico. Giannino Del Sal, dell’ICGEB di Trieste, si sta occupando di studiare come avviene la comunicazione tra le componenti dell’ecosistema tumorale e delle metastasi e come questa sia influenzata dagli stimoli meccanici. Giovanni Blandino, dell’Istituto Regina Elena di Roma, sta creando “avatar” di tumori mammari e delle loro metastasi, ovvero versioni dei tumori specifiche di ogni paziente che possono essere studiate fuori dal corpo, anche per identificare farmaci per cui ogni paziente può dimostrare specifiche vulnerabilità.
Infine, grazie al contributo bioinformatico di Silvio Bicciato dell’Università di Modena e Reggio Emilia e di patologi come Matteo Fassan dell’Università di Padova e Claudio Tripodo dell’Università di Palermo, il gruppo sta studiando a fondo le diverse caratteristiche manifestate dalle cellule tumorali in seguito a stimoli meccanici, valutando sul campo – ovvero in campioni ottenuti da pazienti – le ipotesi teoriche.

“Sono orgoglioso del nostro gruppo di colleghi, che unisce i migliori ricercatori di questo campo e li indirizza verso un obiettivo comune: combattere le metastasi colpendo il loro tallone d’Achille biomeccanico” dice Piccolo.

Stefano Piccolo

Responsabile

Dopo la laurea e il dottorato di ricerca conseguiti presso l’Università di Padova, Stefano Piccolo ha passato quattro anni in California, alla University of California a Los Angeles, studiando la biologia dello sviluppo embrionale nel laboratorio diretto da Eddy De Robertis e sostenuto dal prestigioso Howard Hughes Medical Institute. Oggi Stefano Piccolo è professore ordinario di biologia molecolare presso il Dipartimento di medicina molecolare, Scuola di medicina e chirurgia dell’Università di Padova; è inoltre un ricercatore dell’IFOM di Milano, dove coordina il programma di Biologia dei tessuti e tumorigenesi. La sua attività di ricerca ruota attorno allo studio di come le cellule si relazionano con l’ambiente, e i segnali che da esso derivano, per mantenere la propria forma e funzione. La rottura di questo equilibrio può portare al cancro, e questo è un altro tema al centro delle sue ricerche. In particolare i fattori di trascrizione YAP/TAZ che, come ha scoperto proprio Piccolo, sono usati dalle cellule come “meccanorecettori”, ovvero molecole che aiutano a tradurre in linguaggio molecolare l’informazione che deriva dalle caratteristiche fisiche e strutturali del microambiente e delle cellule stesse. Con questa scoperta Piccolo ha dato origine a un nuovo filone di ricerca, la “meccanobiologia”, e a un nuovo modo di guardare al cancro. Tanti i riconoscimenti scientifici ottenuti da Piccolo, che è anche membro dell’EMBO (dal 2007) e dell’Accademia dei Lincei (dal 2014).

Bando 2019

Nome Bando

Programma per lo studio delle metastasi

Responsabile

Stefano Piccolo

Istituto ospitante

Università degli Studi di Padova

Importo annuo in corso

€ 2.275.000

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