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In corso
Programma di studio delle metastasi

Immunità e microambiente come chiavi contro le metastasi dei tumori di colon e pancreas

Il contesto immunologico è diverso in ciascun organo e queste differenze possono influenzare l’impatto che le componenti del sistema immunitario hanno sul tumore, sulla sua capacità di invasione dei tessuti circostanti e sulla formazione di metastasi. “Sappiamo che le cellule del sistema immunitario sono una componente fondamentale del microambiente tumorale e hanno un ruolo essenziale nel determinare la formazione e la diffusione delle metastasi” spiega Alberto Mantovani. Professore emerito presso la Humanitas University e presidente della Fondazione Humanitas per la ricerca (Rozzano, Milano), Mantovani è coordinatore del Programma ISM (Immunity in Cancer Spreading and Metastasis) sostenuto da AIRC grazie ai finanziamenti 5 per mille dedicati allo studio delle metastasi. I ricercatori coinvolti nel programma hanno deciso di rivolgere la loro attenzione ai tumori del colon e del pancreas, due patologie che pongono sfide estremamente differenti, anche in termini di diffusione in organi diversi da quello di origine. “Per il tumore del colon disponiamo di numerosi strumenti di screening e di diagnosi precoce, oltre che di terapie efficaci, ma siamo ancora indifesi quando sono presenti metastasi, che spesso interessano il fegato” dice Mantovani, che aggiunge: “Quando si parla di tumore del pancreas, invece, diagnosi e terapia sono ancora un problema e i meccanismi di diffusione avvengono per vie particolari, per esempio coinvolgendo i nervi.” Si tratta di sbrogliare la matassa e di comprendere a fondo i rapporti tra immunità, microambiente, tumore e metastasi.

Gli obiettivi

Il complesso progetto coordinato da Alberto Mantovani ha l’obiettivo primario di identificare biomarcatori innovativi e nuovi bersagli molecolari, e di sviluppare strategie terapeutiche per contrastare in modo efficace la diffusione del tumore. Per arrivare a questo risultato sarà necessario studiare nei minimi dettagli, quasi dissezionare, il ruolo dell’infiammazione e dell’immunità, sempre tenendo conto del contesto, il microambiente, nel quale le cellule dei nostri sistemi di difesa e del tumore si muovono.

Il percorso

  1. Si parte in quarta. I ricercatori guidati da Mantovani sono partiti da una solida base, rappresentata dalle tante informazioni e scoperte emerse negli anni precedenti dal lavoro sostenuto da AIRC attraverso i programmi speciali 5×1000 avviati nel 2010. “Alcuni bersagli e strategie terapeutiche sono già state identificate e, anche grazie alla grande esperienza e competenza dei partecipanti al progetto, sarà possibile mettersi subito all’opera” spiega Mantovani.
  2. La relazione tra immunità e metastasi. I diversi partner coinvolti nel progetto si dedicheranno allo studio dell’infiltrazione dei leucociti nel microambiente e nel tumore in relazione alla diffusione della malattia e alla generazione di metastasi. Per queste analisi sono disponibili campioni di tumore e di metastasi derivati dallo stesso paziente, ma sono previsti anche esperimenti su singole cellule attraverso tecnologie all’avanguardia. Non viene trascurato nemmeno il microbiota – la cosiddetta flora intestinale – che potrebbe avere un ruolo nel processo di metastatizzazione, e verrà studiato sia nel tumore primario sia nella metastasi. Il tutto grazie anche all’uso di competenze che vanno oltre la biologia, come per esempio la bioinformatica e il “machine learning”.
  3. Alla ricerca di biomarcatori. Alcuni possibili biomarcatori sono stati già parzialmente identificati negli anni precedenti e le nuove analisi potrebbero permettere di trovarne di nuovi attraverso lo studio di cellule linfoidi e mieloidi e degli esosomi del tumore, piccole vescicole prodotte dalle cellule tumorali.
  4. Studi pre-clinici e clinici. L’identificazione dei biomarcatori e delle nuove strategie terapeutiche deve essere necessariamente seguita da studi che ne confermino l’importanza nel contesto della lotta alle metastasi. Mantovani e gli altri ricercatori coinvolti nel progetto prevedono quindi di utilizzare a questo scopo cellule, organoidi e animali di laboratorio in cui studiare la diffusione metastatica. Gli organoidi sono un tentativo di ricreare una sorta di versione semplificata di un organo, normale o tumorale, in laboratorio. Infine i risultati ottenuti verranno portati al letto del paziente grazie a studi clinici progettati su misura.

Perché è importante

Il tumore per crescere e diffondersi in organi distanti utilizza numerose strategie nelle quali il sistema immunitario, assieme alle caratteristiche del microambiente che circonda il tumore, ha un ruolo primario. I risultati ottenuti nel progetto, che ha l’obiettivo di decodificare il complesso rapporto tra immunità, microambiente e metastasi, saranno utili a rispondere alle domande ancora aperte su diagnosi e terapia dei tumori del colon-retto e del pancreas, ma potranno probabilmente essere estesi anche ad altri tipi di neoplasia metastatica. In termini pratici, i ricercatori puntano a ottenere nuove conoscenze da tradurre in strumenti per la diagnosi e la prognosi e in terapie efficaci.

A che punto siamo

Aprile 2024. Il gruppo coordinato da Alberto Mantovani prosegue il suo lavoro che si focalizza su immunità e metastasi, giungendo a risultati significativi. Tra questi è stata condotta la prima analisi a livello di cellule singole sui macrofagi, i “poliziotti” del sistema immunitario, all’interno di metastasi di un tumore umano. “Vogliamo rispondere a una domanda clinica ben precisa: è possibile predire quali pazienti con metastasi al fegato da tumore del colon-retto possono essere curati dal chirurgo?” spiega Mantovani, ricordando che la chirurgia cura una quota importante di questi pazienti, ma non tutta: per il 20-30 per cento di loro il bisturi non basta.

Per distinguere i macrofagi che ostacolano la progressione tumorale da quelli che invece aiutano il tumore a crescere, si possono usare sperimentalmente tecnologie avanzate, che vanno dal machine learning all’analisi trascrittomica e a singole cellule. Con queste tecniche innovative, che permettono di identificare e distinguere tra loro i macrofagi, possiamo oggi definire meglio la prognosi, che cambia a seconda di quanti “poliziotti buoni e cattivi” ci sono. “Lo strumento che abbiamo sviluppato consente di identificare i pazienti con una prognosi migliore e potrebbe anche aiutare a scegliere le terapie successive” aggiunge Mantovani.

Sempre all’interno del programma, i ricercatori guidati da Maria Rescigno hanno dimostrato che una proteina, detta PV1, è in grado di predire lo sviluppo di metastasi in diversi tipi di cancro (mammella, rene e sarcomi). La proteina PV1 è presente in particolare sulle cellule endoteliali, ossia le cellule che costituiscono la parete interna dei vasi sanguigni.

Il gruppo di Sergio Abrignani ha invece identificato le cellule che inibiscono la risposta immunitaria antitumorale dei linfociti Treg e una firma molecolare, sempre associata a queste cellule, che potrebbe avere un significato prognostico in molti tipi di tumore. Inoltre, ha dimostrato che bloccare una molecola presente nei linfociti T dei tumori può aumentare la loro funzione antitumorale.

Il gruppo di Gioacchino Natoli ha descritto in dettaglio i meccanismi molecolari mediante i quali le cellule del cancro del pancreas sono in grado di dare origine a metastasi attraverso le vie nervose. Il blocco di tali meccanismi potrebbe rappresentare una nuova strategia terapeutica nel trattamento di questo tipo di cancro.

Un altro grande tema del programma coordinato da Mantovani è lo studio dell’interazione tra cellule mieloidi e linfoidi innate, possibile grazie alle competenze del consorzio, in particolare di Simona Sivori, Angela Santoni e Lorenzo Moretta. Questa parte del programma ha permesso di identificare un nuovo checkpoint (IL-1R8), uno dei freni del sistema immunitario che vengono sbloccati con l’immunoterapia, gettando le basi per il trasferimento di questi risultati in clinica. Inoltre, sono stati individuati nuovi meccanismi, che includono cellule “corrotte” del nostro stesso sistema di difesa (Moretta) e molecole (Sivori e Santoni), che bloccano l’attività antitumorale delle cellule dell’immunità innata. Tali meccanismi cellulari e molecolari suggeriscono nuove strategie terapeutiche per combattere i tumori.

Infine, i ricercatori Andrea Biondi, Alessandro Rambaldi e Franco Locatelli si stanno occupando anche di terapie cellulari, partendo dalle loro competenze in settori come l’ematologia, dove le cellule ingegnerizzate, come le famose CAR-T, sono approvate per uso clinico. Importanti risultati clinici hanno dimostrato risposte cliniche significative in pazienti con neuroblastoma e neoplasie dei linfociti B utilizzando, rispettivamente, cellule ingegnerizzate GD2-CART e cellule CD-10-CIK-CAR (dove CIK sta per cellule Cytokine-Induced Killer). Questi risultati aprono concretamente la strada per nuove terapie sia per i tumori solidi che per quelli ematologici. Il lavoro condotto nel consorzio è stato “catalitico” negli studi condotti da Franco Locatelli che hanno dimostrato l’efficacia di un approccio originale basato su cellule CAR-T, dirette contro GD2 nella terapia di un tumore solido, il neuroblastoma refrattario o ricorrente dell’infanzia.

Un lavoro di squadra

Il consorzio coordinato da Alberto Mantovani è composto da nove unità operative distribuite sul territorio nazionale.

Quella dell’Università di Genova, guidata da Simona Sivori, sta caratterizzando le cellule natural killer (NK) che riescono a raggiungere la sede di particolari tipi di tumori solidi per cui a oggi non esistono ancora cure efficaci (carcinoma ovarico, del colon-retto e adenocarcinoma pancreatico duttale). Lo scopo è definire quali freni blocchino le armi che le cellule NK generalmente usano per difenderci da potenziali insorgenze di tumori (in collaborazione con altre unità operative) e proporre quindi trattamenti di ripristino delle loro funzioni. Inoltre, un ulteriore obiettivo è individuare molecole espresse solo dal tumore in modo che possano diventare ulteriori bersagli per approcci immunoterapeutici (sempre in collaborazione con altre unità operative).

Angela Santoni guida invece i ricercatori dell’Università “La Sapienza” di Roma, impegnati a individuare il ruolo di un gruppo di cellule del sistema immunitario, denominate cellule linfoidi innate, nella crescita e metastatizzazione del cancro del colon-retto. Il gruppo si propone di esplorare l’azione dei linfociti dell’immunità innata sulla crescita e metastatizzazione delle cellule tumorali del colon. Grazie a questo progetto sostenuto nell’ambito del programma AIRC “5 per mille”, il gruppo di ricerca ha messo a punto diversi modelli sperimentali preclinici per esplorare le interazioni tra i linfociti dell’immunità innata e le cellule tumorali e il loro microambiente. I risultati di questi studi permetteranno di identificare nuovi bersagli cellulari e molecolari e di individuare approcci terapeutici sempre più mirati a contrastare la progressione e la metastatizzazione del cancro del colon-retto.

L’unità operativa guidata da Lorenzo Moretta, presso l’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma, ha focalizzato la propria attività di ricerca su sottopopolazioni del sistema immunitario che contrastano la crescita e la diffusione dei tumori. In particolare, l’attenzione si è concentrata sulle cellule natural killer (NK), studiando e identificando, sia nei tumori primari sia metastatici, diversi meccanismi inibitori capaci di inattivare l’attività anti-tumorale delle cellule NK. In collaborazione con diversi gruppi coinvolti nel consorzio, è stato possibile dimostrare come il microambiente tumorale riesca a richiamare cellule che contribuiscono a spegnere l’attività anti-tumorale sia delle cellule NK sia di altre popolazioni linfoidi innate. È importante ricordare che l’identificazione dei meccanismi coinvolti nella crescita tumorale contribuisce all’identificazione di nuovi bersagli per l’immunoterapia, fornendo quindi armi ulteriori per combattere il cancro.

Il gruppo di ricerca di Sergio Abrignani presso l’Istituto nazionale di genetica molecolare (INGM) di Milano si occupa di studiare il ruolo dei linfociti T regolatori nel microambiente tumorale che possono sopprimere la risposta antitumorale favorendo la crescita del tumore. Attraverso l’impiego di tecnologie all’avanguardia, i ricercatori dell’INGM hanno identificato due popolazioni di linfociti T regolatori, con una forte attività di soppressione verso i linfociti T effettori. Inoltre nei laboratori di INGM è stata messa a punto una tecnologia di imaging che permette di apprezzare la localizzazione spaziale di queste cellule.

Presso l’Istituto clinico Humanitas di Rozzano (Milano), i ricercatori guidati da Maria Rescigno si occupano di valutare il ruolo di un alterato microbiota anche nel processo di metastatizzazione. Le ricerche hanno portato a osservare che un microbiota alterato può portare infatti alla modifica della permeabilità dei vasi e alla migrazione di batteri dal tumore (nel caso specifico il colon) al fegato, dove si prepara una nicchia che favorisce la migrazione successiva delle cellule tumorali. È stato identificato inoltre un marcatore della modifica dei vasi e ora si stanno valutando i processi molecolari coinvolti, con uno sguardo anche ad altri tipi di tumore metastatico.

Dall’Istituto europeo di oncologia (IEO) di Milano, Gioacchino Natoli e il suo gruppo stanno studiando una particolare caratteristica del cancro del pancreas, ovvero la sua frequente disseminazione lungo i nervi, che contribuisce a determinare l’aggressività clinica di questo tumore, ancora con prognosi infausta. Grazie a tecnologie analitiche all’avanguardia si lavora per definire i meccanismi molecolari alla base della disseminazione nervosa del cancro del pancreas, e la caratterizzazione di questi meccanismi consentirà l’identificazione di nuovi bersagli molecolari potenzialmente utilizzabili in futuro per la terapia.

Il Dipartimento di oncoematologia e terapia genica e cellulare dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma, diretto da Franco Locatelli, partecipa attivamente al programma contribuendo allo sviluppo di terapie innovative cellulari e geniche per contrastare tumori caratterizzati da elevata capacità di dare metastasi, come il neuroblastoma e il sarcoma. Punto di forza del gruppo è la grande esperienza nella realizzazione di studi clinici per l’applicazione di terapie innovative basate sull’utilizzo di cellule CAR-T, per potenziare l’azione del sistema immunitario contro il tumore. I ricercatori romani hanno sviluppato una piattaforma alternativa per la generazione di prodotti clinici basati sull’utilizzo di cellule NK derivanti da donatori sani che è già stata validata, grazie alla collaborazione con altre unità operative del consorzio, nel trattamento dei pazienti con leucemia linfoblastica acuta a cellule B. Sempre in collaborazione con altre unità operative, si stanno valutando nuovi bersagli terapeutici per approcci CAR-T anche nei tumori metastatici del pancreas e del colon.

Il risultato più importante raggiunto dal gruppo dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo guidati da Alessandro Rambaldi è l’implementazione della produzione per uso clinico di cellule citotossiche anti-tumorali CIK, geneticamente modificate con recettori anti-tumorali (CARCIK-CD19). In particolare il gruppo di Rambaldi, grazie a una stretta collaborazione con il gruppo di Monza, che ha sviluppato per primo queste cellule terapeutiche, ha ottenuto l’autorizzazione da parte delle autorità regolatorie a produrre CARCIK-CD19 a uso clinico e ha sottomesso nuovi protocolli clinici per l’impiego di queste cellule in pazienti adulti (Bergamo) e pediatrici (Monza). Inoltre il gruppo sta sviluppando nuovi CAR diretti contro una molecola del microambiente tumorale, la tenascina C (TNC), espressa in eccesso in diversi tumori solidi ed emopoietici e implicata anche nella capacità metastatica di questi tumori. Si sta ora mettendo a punto, in collaborazione con altri gruppi, un modello per testare l’efficacia in vivo delle cellule CARCIK-TNC.

L’unità diretta da Andrea Biondi presso l’Ospedale San Gerardo di Monza contribuisce al progetto mettendo a disposizione una piattaforma per la generazione di cellule CARCIK, ovvero linfociti T citotossici modificati per esprimere recettori specifici per tipo di tumore. Proprio utilizzando questa piattaforma, il gruppo (in collaborazione con quello di Bergamo) ha recentemente effettuato uno studio di fase I/II per valutare la sicurezza e l’attività di cellule CARCIK-CD19 per il trattamento delle leucemie di tipo B. Tra gli obiettivi dell’unità coordinata da Biondi c’è l’estensione dell’approccio CAR contro tumori solidi metastatici, studiando anche cellule CARCIK derivate da risorse biologiche alternative, come il sangue del cordone ombelicale. Infine, si punta allo sviluppo di approcci combinati, che prevedano CAR a doppio bersaglio, in grado di colpire simultaneamente le cellule tumorali e alcune cellule del microambiente, e CAR combinati a inibitori di checkpoint, ovvero farmaci che “sbloccano” la risposta immunitaria contro il tumore.

Alberto Mantovani

Responsabile

Alberto Mantovani, milanese, medico, è professore emerito di patologia generale e vice rettore per la ricerca presso Humanitas University, e presidente della Fondazione Humanitas per la ricerca. In passato ha lavorato in Inghilterra e negli Stati Uniti ed è stato a capo del Dipartimento di immunologia dell’Istituto Mario Negri di Milano. Ha contributo al progresso delle conoscenze nel settore immunologico, sia formulando nuovi paradigmi, sia identificando nuove molecole e funzioni. Le analisi bibliometriche lo indicano come il ricercatore italiano attivo in Italia più citato nella letteratura scientifica internazionale, e come uno dei 10 immunologi più citati a livello internazionale. Per la sua attività di ricerca ha ottenuto numerosi premi e riconoscimenti nazionali e internazionali.

Bando 2018

Nome Bando

Programma di studio delle metastasi

Responsabile

Alberto Mantovani

Istituto ospitante

Università Humanitas di Rozzano, Milano

Importo annuo in corso

€ 2.745.000

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