Dalle cellule staminali tumorali, nuovi marcatori e nuovi farmaci contro il cancro del colon e del polmone
Nuove terapie per i tumori del colon e del polmone basate sulla proteomica funzionale e dirette contro le cellule staminali tumorali.
Colon e polmone sono al centro del programma coordinato da Ruggero De Maria, dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma. L’attenzione delle 6 unità operative coinvolte nel programma è rivolta in particolare allo studio delle cellule staminali dei due tumori, quelle che consentono al cancro di resistere alle attuali terapie, facendo ripartire il tumore dopo le cure e dando metastasi. Il programma si divide in diverse fasi, legate tra di loro, e ha lo scopo di identificare biomarcatori capaci di predire la risposta alle terapie e di generare nuovi strumenti “intelligenti” per distruggere definitivamente il cancro, incluse le sue cellule staminali tumorali. Si parte con la raccolta delle cellule staminali tumorali da campioni di tumore; tali cellule sono, poi analizzate a livello molecolare con le più moderne tecnologie e, infine, incluse in un’unica biobanca. Dall’analisi è possibile scoprire i meccanismi molecolari che regolano il funzionamento delle staminali del cancro e identificare i bersagli molecolari contro i quali sviluppare nuovi farmaci. I farmaci così generati sono provati innanzitutto con modelli animali per valutarne sicurezza ed efficacia; solo in caso di esito positivo è possibile proseguire la sperimentazione con gli esseri umani.
La ricchezza della biobanca
Non si può portare avanti un progetto di ricerca se non si dispone del materiale di partenza sul quale eseguire le analisi e che, nel caso del programma coordinato da Ruggero De Maria, è rappresentato dalle cellule staminali dei tumori di colon e polmone e dai tessuti prelevati ai pazienti durante biopsie o interventi chirurgici.
Mentre per la raccolta di campioni di tessuto non ci sono particolari problemi, isolare e crescere le cellule staminali tumorali non è affatto semplice. Il primo sforzo dei ricercatori è stato quindi dedicato a mettere a punto i metodi per raccogliere queste preziose cellule da conservare poi in una altrettanto preziosa biobanca. I metodi utilizzati sono sostanzialmente due: le sfere e gli organoidi. Non è necessario entrare nel dettaglio di queste complesse tecniche di coltura cellulare: quello che è importante sapere è che con il metodo delle sfere, che i ricercatori guidati da De Maria hanno messo a punto per primi nel mondo, è stato possibile raccogliere cellule staminali tumorali dalla metà circa dei pazienti studiati. Con la tecnica degli organoidi invece la percentuale di successo nell’isolare e raccogliere le staminali tumorali è molto più alta (80-90%), ma le cellule staminali tumorali presenti nel campione sono poco arricchite, intorno al 2%. Le sfere sono più adatte agli screening farmacologici, mentre entrambi i metodi permettono di riprodurre il tumore nei topi immunodeficienti per effettuare studi preclinici.
Nuovi biomarcatori per la riposta alla terapia
L’efficacia dei cosiddetti farmaci intelligenti, quelli rivolti contro uno specifico bersaglio molecolare, si basa sul presupposto che tale bersaglio sia presente sulla superficie della cellula tumorale e non su quella della cellula sana. Per esempio, i farmaci che inibiscono una molecola chiamata EGFR sono particolarmente efficaci contro il tumore del polmone che presenta una particolare mutazione, ma se la mutazione non c’è, è in teoria inutile somministrare il farmaco. Tuttavia, gli esperti guidati da De Maria hanno scoperto che alcuni tumori rispondono al trattamento con gli inibitori di EGFR pur non avendo la mutazione ritenuta necessaria perché il farmaco fosse efficace. Ma non è tutto. I ricercatori hanno anche trovato caratteristiche delle cellule staminali tumorali che possono funzionare come biomarcatori per capire quali pazienti fra quelli senza mutazione potrebbero comunque rispondere al trattamento. I dati di laboratorio ci sono già e sono ora in fase di conclusione anche quelli ottenuti con i pazienti.
Terapie vecchie e nuove, purché efficaci
Una buona parte del programma coordinato da De Maria riguarda i farmaci, dal punto di vista sia dell’utilizzo più appropriato dei farmaci esistenti, sia della generazione di nuovi trattamenti efficaci, contro i tumori di colon e polmone. Analizzando le cellule staminali tumorali del colon, i ricercatori sono riusciti a trovare una combinazione di farmaci che sembra essere molto efficace nel distruggerle. La terapia potrebbe rivelarsi efficace nel controllare la malattia, soprattutto nei pazienti con piccole lesioni metastatiche, ma occorre aspettare l’esito degli studi clinici. Non mancano neppure i farmaci nuovi, o meglio nuove versioni di farmaci già esistenti. Si tratta in particolare della fenretinide, una molecola poco tossica ed efficace contro molti tumori. I ricercatori hanno modificato la molecola, rendendola solubile: una modifica che permette al farmaco di raggiungere concentrazioni più elevate nel sangue e di garantire quindi una maggiore efficacia contro il tumore. In laboratorio e in modelli sperimentali, i risultati sono molto promettenti, ma prima di poter parlare di nuova terapia sono necessari ulteriori studi nell’uomo, che molto probabilmente coinvolgeranno pazienti con vari tipi di tumori. La molecola infatti sembra essere efficace anche in tumori diversi da colon e polmone.
Scendono in campo anche gli anticorpi
Gli anticorpi rappresentano oggi uno degli strumenti più potenti nelle mani dei medici che combattono il cancro e trovano posto anche nel programma coordinato da Ruggero De Maria. L’idea iniziale era di basarsi su un anticorpo già disponibile per la comunità scientifica, ma il progetto è stato abbandonato perché l’anticorpo, molto promettente, è in via di sviluppo da parte di una grossa azienda farmaceutica americana. In parallelo i ricercatori hanno portato avanti altri filoni di ricerca, tra i quali lo studio e la produzione di anticorpi diretti contro le cellule staminali del cancro. Il processo per arrivare alla clinica è sicuramente lungo e costoso (anche in termini economici), ma il primo passo verso la creazione di nuovi anticorpi che possano curare il tumore del colon e del polmone è stato compiuto. Al centro dell’attenzione dei ricercatori sono in particolare due anticorpi che si sono dimostrati efficaci nel tumore del colon e negli adenocarcinomi del polmone che verranno coniugati a farmaci citotossici per aumentarne l’efficacia. Questa coniugazione è possibile perché gli anticorpi colpiscono un bersaglio non presente nelle cellule sane. Anche in questo caso gli esperimenti condotti con cellule staminali tumorali e modelli murini hanno dato ottimi risultati, ma il percorso per la clinica è più lungo, in quanto l’anticorpo deve essere modificato prima di poter essere somministrato agli esseri umani.
Alla ricerca del farmaco giusto
Sono centinaia i farmaci antitumorali già approvati o in fase di sperimentazione clinica e proprio da queste molecole prende il via una parte del programma di De Maria e colleghi. L’idea iniziale era cercare all’interno dell’elenco di farmaci antitumorali quelli più efficaci contro le cellule staminali del cancro. Usando le cellule staminali del tumore del colon, i ricercatori hanno quindi iniziato uno screening su tutti i farmaci antitumorali, identificandone in particolare uno sul quale hanno deciso di concentrare l’attenzione. Si tratta di un farmaco che inibisce una molecola coinvolta nei meccanismi di risposta al danno al DNA e al quale le cellule analizzate mostrano una diversa sensibilità. Un terzo delle cellule è molto sensibile a questo inibitore, un terzo è mediamente sensibile, mentre un terzo è resistente. Studi successivi hanno permesso anche di capire quali sono i marcatori che permettono di distinguere le cellule resistenti da quelle sensibili e, ancora, da quelle mediamente sensibili. A questo punto, è fondamentale riuscire a portare la molecola in clinica con uno studio per i pazienti. La buona notizia, come spiegano i ricercatori, è che tra le cellule sensibili al farmaco ce ne sono alcune che hanno una mutazione nel gene KRAS, una condizione che in genere si traduceva in uno scarso successo dei trattamenti.