Il cavallo di Troia che induce il cancro a suicidarsi
Terapie cellulari con effettori ingegnerizzati geneticamente, armati con TRAIL, per colpire il bersaglio.
Il protagonista indiscusso del programma guidato da Alessandro Massimo Gianni, dell’Istituto nazionale tumori di Milano, si chiama mTRAIL ed è una molecola presente nella membrana cellulare, capace di arrivare alle cellule tumorali e di mettere in moto la complessa macchina che le porta a “suicidarsi” (un fenomeno detto apoptosi o morte cellulare programmata). Per far arrivare mTRAIL fino al tumore si cerca di utilizzare una sorta di “cavallo di Troia”: cellule riprogrammate geneticamente per esprimere la molecola killer (CD34-TRAIL+), sono in genere riconosciute e legate dalle cellule tumorali senza che si creino problemi a quelle sane.
Sono molti gli obiettivi dei medici e ricercatori coinvolti nella ricerca, come per esempio comprendere a fondo i meccanismi che fanno di TRAIL un’arma tanto potente contro il tumore; cercare di aumentare la tossicità di TRAIL utilizzandola magari con altre molecole; analizzare la comunicazione tra tumore e tessuto che lo circonda. Studi clinici di fase 1 e 2 sono poi previsti per verificare che la somministrazione delle cellule “armate” con TRAIL sia efficace e non tossica nell’uomo, mentre con analisi di vario genere si cercano strumenti per tenere sott’occhio la terapia e vedere se e come arriva a destinazione. Infine, viste le difficoltà, non solo economiche, che si incontrano quando si vuole utilizzare una terapia basata sulla somministrazione di cellule, Gianni e colleghi cercano anche nuovi metodi e “veicoli” per condurre TRAIL fino al tumore.
Il trapianto ha un volto nuovo
Alla base del programma coordinato da Alessandro Massimo Gianni c’è l’idea generale di usare come vero e proprio farmaco una proteina chiamata TRAIL. Si tratta di una molecola attualmente già in via di sviluppo come farmaco solubile, ma la novità introdotta dai ricercatori del programma finanziato da AIRC consiste nello sviluppo di un farmaco legato a una membrana. La scelta è dettata da dati preliminari che hanno dimostrato come in questa forma TRAIL sia molto più efficace contro il tumore. Per raggiungere tale ambizioso obiettivo si è pensato di partire dalle cellule del midollo osseo (staminali) umane che sono state modificate geneticamente perché producano da sé TRAIL sulla membrana. A questo punto si può, almeno in linea teorica, procedere con un trapianto nel paziente malato di cancro: si trapiantano le cellule staminali modificate e armate con TRAIL, che poi daranno origine a una progenie di cellule (globuli bianchi, linfociti eccetera) che a loro volta avranno TRAIL sulla membrana. Si potrebbe in un certo senso parlare di trapianto di midollo terapeutico antitumorale, perché si tratta di trasformare il midollo in un produttore di cellule con attività antitumorale costante, in grado di arrivare attraverso il circolo sanguigno alle cellule tumorali che esprimono sulla loro membrana una molecola che funge da recettore per TRAIL e alla quale la cellula armata si può legare.
Un interruttore per accendere e spegnere la terapia
Facendo esprimere TRAIL in modo incontrollato anche da cellule che normalmente non lo esprimono, si rischia di andare incontro a qualche problema di tossicità. In effetti TRAIL viene normalmente espresso da alcune cellule del sistema immunitario (per esempio i linfociti T) e ha una potente attività antitumorale e antinfettiva, ma come per tutte le armi potenti potrebbe diventare pericolosa.
L’organismo mette in atto una serie di contromisure che consentono di controllarne l’attività e il tumore ha anche trovato il modo di sfuggirvi. Per superare questi ostacoli, che renderebbero impossibile utilizzare TRAIL come terapia, i ricercatori hanno seguito una strada pionieristica e sono riusciti a mettere la molecola sotto il controllo di un vero e proprio interruttore che la accende e la spegne al bisogno. In pratica TRAIL viene espresso solo in presenza di un induttore (una tetraciclina), mentre se l’induttore non c’è l’espressione si spegne. In questo modo è possibile mantenere sotto controllo la dose, la durata del trattamento, e molti altri parametri importanti per ridurre la tossicità del trattamento al minimo.
Da punto di vista pratico è una forma di terapia genica che però, a differenza di quelle standard, può essere regolata, modulata, interrotta e ripresa in base alla tossicità e all’efficacia. Questa innovativa strategia terapeutica è già stata valutata nel modello animale e ora si sta procedendo alla creazione di sistemi da utilizzare anche nell’uomo.
Come arrivare fino al tumore
Il recettore al quale si lega TRAIL è sulla membrana di quasi tutti i tumori, ma non sempre è semplice per le cellule che lo contengono raggiungere questi recettori. Ecco perché a volte si devono trovare mezzi di trasporto che aiutino il farmaco ad arrivare a destinazione. Stando a quanto è emerso nel programma coordinato da Alessandro Massimo Gianni, la soluzione ideale è rappresentata da piccolissime particelle prodotte dalla cellula. Queste microvescicole che derivano da cellule armate con TRAIL esprimono a loro volta la molecola e sono quindi un potenziale farmaco con la capacità di diffondersi nell’organismo e tutta la potenza di TRAIL espreso sulla membrana. A questo punto i ricercatori stanno lavorando su diversi tipi di cellule per poter scegliere quelle che hanno la capacità di raggiungere il tumore in maniera più selettiva (un processo che viene definito homing tumorale) attraverso le loro specifiche caratteristiche. Per esempio le cellule staminali mesenchimali sembrano funzionare bene in questo senso: le vescicole prodotte da queste cellule hanno mostrato un’ottima capacità di andare dritte al bersaglio.
Un anticorpo speciale per attaccare il tumore su due fronti
Per rendere ancora più potente la terapia antitumorale, i ricercatori stanno lavorando anche sul fronte degli anticorpi con l’obiettivo di crearne uno speciale e dotato di una doppia specificità. Nei laboratori milanesi dell’Istituto nazionale tumori sono state già sintetizzate diverse molecole di questo tipo e una in particolare ha attirato l’attenzione dei ricercatori che ne hanno dimostrato l’efficacia sia in vitro sia in modelli animali, e si stanno preparando a passare in clinica. Si tratta di un anticorpo bispecifico capace, da una parte, di legare e attivare TRAIL sulla cellula tumorale e, dall’altra, di legare e attivare i linfociti T, cellule del sistema immunitario. Si tratta quindi di fare da ponte tra un linfocita T e TRAIL e di arrivare alla malattia sfruttando contemporaneamente la tossicità di TRAIL sulla cellula tumorale e attivando il linfocita T che va, a sua volta, a scatenare una catena di eventi tossici per il cancro.
Destinazione endotelio
Alla base degli importanti risultati ottenuti nel corso del programma, ci sono studi di laboratorio che hanno permesso di comprendere meglio come funziona TRAIL di membrana e dove agisce una volta attivato. Questi studi hanno dimostrato che l’azione della molecola è diretta soprattutto all’endotelio del tumore, un particolare tessuto che riveste per esempio le pareti dei vasi sanguigni. L’ipotesi, già confermata da alcuni dati sperimentali, è quindi che la vescicola armata con TRAIL (e probabilmente anche i linfociti T) abbia la capacità di fermarsi proprio a livello delle cellule endoteliali e di distruggerle causando la morte “per asfissia” del tumore. Come spiegano i ricercatori, l’endotelio del tumore ha caratteristiche specifiche, e presenta sulla sua superficie una serie di recettori incluso quello di TRAIL. La terapia basata su TRAIL (microvescicole o linfociti T) si localizza in modo selettivo legandosi attraverso i suoi recettori all’endotelio e lasciando a TRAIL il tempo di interagire con il suo recettore e di distruggere il tessuto.
A TRAIL non si resiste
L’attività antitumorale di TRAIL è molto potente, ma nonostante ciò alcune cellule possono sviluppare resistenza all’apoptosi (la morte cellulare) indotta dalla molecola. Per questo motivo i ricercatori coinvolti nel programma hanno valutato la possibilità di influire sulla via intracellulare che porta all’apoptosi con specifici farmaci. Tra i numerosi farmaci oggi disponibili e potenzialmente utili allo scopo, si è visto che alcuni composti analoghi della molecola survivina sono in grado di influenzare il processo che porta alla morte della cellula tumorale, così come succede anche per alcuni composti detti SMAC mimetici. Come è emerso da studi in vitro e in modelli animali, utilizzando questi farmaci in combinazione con TRAIL è possibile rendere nuovamente sensibili al trattamento cellule che si erano dimostrate resistenti alla terapia. In effetti grazie a questi composti è possibile potenziare l’attività di TRAIL. La prima dimostrazione dell’efficacia di questo approccio combinato è arrivata da studi con cellule di melanoma. All’Istituto nazionale tumori di Milano erano infatti disponibili molte linee cellulari di melanoma che presentavano diverse risposte a TRAIL (sensibili, mediamente sensibili, resistenti): sono state un ottimo modello per studiare a fondo il sistema e per scoprire che cellule poco sensibili mostravano una maggiore sensibilità dopo il trattamento.