Un vaccino terapeutico per migliorare l’immunoterapia contro melanoma e sarcoma metastatici
L’immunoterapia, e in particolare i limiti che ancora presenta, è il punto di partenza del programma di ricerca coordinato da Maria Rescigno, dell’Humanitas Research Hospital di Rozzano, alle porte di Milano. Rescigno è a capo di una cordata di cui fanno parte otto gruppi di ricerca situati in tre diversi centri (Humanitas, Università del Piemonte orientale e Istituto Pascale di Napoli). Grazie al sostegno di AIRC, tramite il secondo bando 5 per mille dedicato allo studio delle metastasi, Rescigno e colleghi nei prossimi 7 anni cercheranno di mettere a punto un vaccino terapeutico contro la malattia metastatica. “L’immunoterapia ha cambiato in modo fondamentale la prognosi di alcuni tumori fino a poco tempo fa considerati incurabili. Tuttavia c’è ancora una percentuale di pazienti che non risponde a questi trattamenti, che usano i cosiddetti inibitori dei checkpoint immunitari, farmaci che tolgono il freno al sistema immunitario e lo indirizzano contro il tumore. Questo perché in molti casi la risposta immunitaria non è stata attivata” spiega Rescigno, che assieme ai colleghi punta a stimolare la risposta immunitaria utilizzando un vaccino terapeutico progettato appositamente contro lo specifico tipo di tumore. In questo modo la terapia potrebbe agire con maggiore efficacia. “Sono molto grata ad AIRC per l’opportunità unica che ci sta dando con questo sostegno eccezionale nel panorama della ricerca italiana e internazionale, sia in termini economici che temporali” dice la ricercatrice.
Gli obiettivi
L’obiettivo principale del programma coordinato da Maria Rescigno è la valutazione, attraverso studi clinici, dell’efficacia di nuovi vaccini terapeutici somministrati a pazienti con melanoma e sarcoma metastatici per stimolare la risposta immunitaria. Le analisi a livello molecolare e cellulare previste nei 7 anni del programma permetteranno inoltre di comprendere a fondo i meccanismi con cui alcuni tumori resistono ai trattamenti di immuno- e chemioterapia, e più in generale i meccanismi di risposta ai trattamenti. Queste informazioni, ottenute attraverso l’utilizzo di tecnologie estremamente avanzate e analisi a diversi livelli (molecolare, cellulare eccetera), potrebbero portare all’identificazione di nuove molecole da utilizzare in vaccini terapeutici sempre più specifici ed efficaci.
Il percorso
- Si parte con il piede giusto. Il programma sostenuto dai fondi dei contributi 5×1000 parte già da una solida base, costruita ancora una volta con l’aiuto di AIRC. Come spiega Rescigno, studi precedenti hanno permesso al suo gruppo di identificare una nuova via per selezionare peptidi antigenici, ovvero molecole capaci di scatenare una risposta immunitaria contro il tumore, nel caso specifico melanoma e sarcoma. Queste informazioni si sono rivelate preziose per la creazione di specifici vaccini terapeutici che nel nuovo programma verranno valutati in studi clinici. La scelta di melanoma e sarcoma dipende innanzitutto dal fatto che le informazioni a disposizione sulle due patologie sono molte, ma anche dall’esperienza clinica e di ricerca dei gruppi coinvolti, che in passato hanno lavorato a lungo sull’uso di vaccini immunogenici in queste neoplasie con risultati promettenti.
- Più forza alle terapie. Gli inibitori dei checkpoint immunitari (ICP) funzionano quando “sbloccano” le cellule del sistema immunitario, rendendole attive contro il tumore. “Se però queste cellule immunitarie non ci sono, o sono troppo scarse, le terapie non possono essere efficaci” spiega Rescigno. Da qui l’idea di “aiutare” l’immunoterapia attraverso un vaccino terapeutico capace di creare le condizioni ideali per il successo degli ICP. Il primo studio clinico previsto nel programma si concentra su pazienti con melanoma metastatico che verranno trattati con il vaccino terapeutico e in seguito anche con ICP come nivolumab. Un secondo studio sarà invece incentrato sul sarcoma, che oggi non viene trattato con farmaci immunoterapici, ma con la classica chemioterapia. “Anche in questo secondo caso vogliamo dare forza alla terapia standard creando una base immunitaria più attiva contro il tumore” dice la ricercatrice. “Ci aspettiamo che alcuni pazienti risponderanno e altri no, e il confronto dei dati che otterremo sarà utile a comprendere meglio i meccanismi alla base delle diverse risposte.”
- Sotto stretto controllo. Nel corso degli studi clinici previsti dal programma, i pazienti saranno sottoposti a quello che viene definito immuno-monitoring. “Si tratta di un monitoraggio immunologico dei pazienti nel quale andremo a osservare sia la risposta T (dei linfociti T citotossici), sia la risposta B, ovvero la produzione di anticorpi da parte dei linfociti B. Valuteremo anche le cellule del sistema immune innato, come per esempio i macrofagi” precisa la ricercatrice. Come se non bastasse, in questo monitoraggio stretto sarà incluso anche il microbiota, l’insieme dei microrganismi presenti nell’intestino, perché è stato osservato che nei pazienti trattati con inibitori dei checkpoint immunitari questi piccoli ospiti possono influenzare la risposta e quindi l’efficacia della terapia.
- Parola d’ordine: resilienza. Chi fa ricerca lo sa bene: essere sempre pronti a modificare le proprie strategie è di vitale importanza. Per sua stessa natura imprevedibile, la ricerca potrebbe portare – nel bene e nel male – a risultati diversi da quelli attesi. Inoltre lo scenario nel quale si opera può cambiare molto rapidamente. “La nostra filosofia prevede di procedere sempre per gradi: iniziamo con il protocollo che abbiamo scritto sulla base delle conoscenze di cui disponiamo ora, e nel frattempo procediamo con il monitoraggio fine delle risposte, rimanendo sempre pronti ad apportare cambiamenti che possano migliorare le strategie terapeutiche” afferma la ricercatrice. Non è un caso che all’interno del programma sia previsto anche una sorta di “piano B” da utilizzare qualora i primi risultati non siano soddisfacenti. Si tratta dell’utilizzo della cosiddetta immunoterapia adottiva, nella quale per contrastare il tumore si utilizzano cellule del sistema immunitario (linfociti T) appositamente modificate attraverso tecniche di ingegneria genetica.
Perché è importante
Un vaccino terapeutico come quello studiato in questo programma rappresenta un’importante nuova opzione terapeutica per pazienti con melanoma e sarcoma metastatici che non rispondono o rispondono in modo incompleto alle terapie oggi disponibili. Inoltre, i risultati del monitoraggio immunitario aiuteranno i medici a capire meglio quali pazienti potrebbero beneficiare del trattamento, ma forniranno anche informazioni utili ad affiancare altre possibili terapie alle combinazioni attuali. I vaccini terapeutici utilizzati nello studio sono stati creati partendo dall’analisi di diverse linee cellulari del tumore, in modo da identificare molecole comuni e poter quindi arrivare a un vaccino terapeutico “universale” che tutti i pazienti con un determinato tumore (per esempio il melanoma) possono utilizzare. Su questa falsa riga sarà possibile lavorare per creare vaccini terapeutici anche per altri tipi di cancro. “Almeno in linea di principio, la strategia basata sulla vaccinazione potrebbe essere utilizzata in tutti i pazienti per aumentare le loro probabilità di rispondere ai trattamenti successivi” conclude Rescigno.
A che punto siamo
Maggio 2022. Trasformare la pandemia da ostacolo a opportunità. Anche questo sono riusciti a fare i ricercatori coordinati da Maria Rescigno nell’ultimo anno. “La tabella di marcia del progetto ha subito un’inevitabile battuta di arresto a causa della pandemia, dal momento che in molte sue parti il nostro lavoro si basa sul reclutamento di pazienti” spiega Rescigno. Ma il lockdown non è stato certo tempo perso: i ricercatori ne hanno infatti approfittato per costruire solide basi, necessarie per rendere più semplici e veloci le fasi successive della ricerca.
Innanzitutto sono state messe a punto (o si stanno mettendo a punto) tutte le tecniche di monitoraggio immunologico che poi serviranno per monitorare i pazienti, ed è stata anche creata una speciale “libreria” che permetterà di studiare il ruolo delle cellule del sistema immunitario innato.
È stato anche possibile concludere la parte del progetto relativa alla safety, ovvero alla sicurezza del trattamento: oggi infatti i ricercatori sono certi che il vaccino non causa reazioni di tipo auto-immune che potrebbero essere pericolose per il paziente.
Ultima, ma non certo meno importante, tutta la parte burocratica che accompagna l’uso in clinica di un nuovo farmaco. Il “tempo libero” non previsto, ma obbligatorio data la pandemia, ha permesso di dedicare più spazio alla preparazione dei documenti da presentare agli enti regolatori e di identificare l’azienda che produrrà i peptidi e tutto il processo per arrivare al prodotto finale. “Questa è una fase alla quale in genere si pensa poco, ma che in realtà porta via molto tempo” afferma Rescigno, che con il suo gruppo di lavoro ha anche registrato il brevetto per il vaccino.
Un lavoro di squadra
Il consorzio è composto da nove unità operative, di cui quattro capitanate da giovani ricercatori, e coinvolge quattro istituti.
Ci sono unità di ricerca di base e traslazionale che sono deputate a valutare l’efficacia del vaccino attraverso un immuno-monitoraggio accurato di diversi aspetti: delle cellule B che producono anticorpi (Marinos Kallikourdis, Istituto Humanitas di Rozzano-Milano); delle cellule T citotossiche che riconoscono e uccidono le cellule tumorali (Enrico Lugli, Humanitas); del microambiente tumorale ‒ in particolare dei macrofagi e neutrofili corrotti che aiutano il tumore a crescere (Diletta Di Mitri, Humanitas, e Antonio Sica, Università del Piemonte orientale) ‒; e del microbiota che ha un ruolo fondamentale sull’efficacia della terapia (Maria Rescigno, Humanitas). Valuteremo anche la presenza dei peptidi del vaccino nel sangue dei pazienti trattati e identificheremo nuovi peptidi per migliorare la vaccinazione (Marcello Manfredi, Università del Piemonte orientale). Ci saranno due unità cliniche che testeranno l’efficacia e sicurezza del vaccino (Paolo Zucali e Alexia Bertuzzi, Humanitas, e Paolo Ascierto, Fondazione Pascale di Napoli) e una unità di ricerca traslazionale per mettere in atto eventualmente un piano B (Andrea Biondi, Università Milano Bicocca).
Ecco le impressioni di alcuni partecipanti al consorzio (in ordine alfabetico):
- Ascierto: “Le diverse professionalità ed esperienze si uniscono nell’unico obiettivo di migliorare il beneficio a lungo termine dei pazienti. Rendere il cancro una malattia cronica si può”.
- Di Mitri: “Il progetto AIRC ‘5 per mille’ per me rappresenta la sintesi della ricerca medica, in quanto riesce a combinare spunti personali e spirito di squadra, autonomia e integrazione di competenze, esperienza e innovazione, esplorazione dei meccanismi di base e scoperta traslazionale. È il percorso di crescita di una squadra unita contro il cancro”.
- Kallikourdis: “Il progetto ‘5 per mille’ per me sta diventando una esperienza unica, in quanto ha permesso una convergenza di linee di ricerca di diversi gruppi, con loro interessi scientifici complementari ma distinti, verso un obiettivo comune con reali possibilità di impatto per i pazienti. Sarebbe bello se tutta la scienza fosse così collaborativa”.
- Lugli: “Con questo progetto, possiamo mettere decenni di ricerca in laboratorio a servizio dei pazienti per combattere il cancro”.
- Manfredi: “Abbiamo la possibilità di contribuire al miglioramento della cura del cancro attraverso un approccio di squadra, innovativo, multidisciplinare e con i migliori mezzi possibili”.
- Zucali: “Partecipare a un progetto che unisce le conoscenze, che scompone e affronta i problemi da più punti di vista con approccio multidisciplinare è un’occasione molto stimolante non solo dal punto di vista formativo ma anche produttivo!”.